Origine,
contenuti e scopi della bioetica
di Angelo cafaro
La
bioetica (etimologicamente “etica della vita”)
ha origine, in quanto insieme di specifiche problematiche
oggetto di riflessione e di studio, nel periodo storico
immediatamente successivo al processo istruito a Norinberga
contro i criminali nazisti. Il termine “bioetica” venne
di fatto introdotto per la prima volta nel 1970 da Van
Rensselaer Potter che lo utilizzò nella sua opera “Bioethics:
the Science of Survival”.
Le
sempre più complesse modalità di intervento terapeutico
sull’uomo, rese possibili soprattutto dagli enormi progressi
realizzati negli ultimi decenni nel campo delle biotecnologie,
come pure i crescenti rischi ecologici conseguenti a
uno sfruttamento incontrollato delle risorse ambientali,
hanno costretto la società contemporanea a una più attenta
riflessione etica e alla ricerca di adeguati strumenti
giuridici atti a tutelare più efficacemente il “bene
comune”.
L’elenco delle problematiche di cui la bioetica si occupa
è particolarmente lungo. Con un rapido e sommario sguardo
panoramico possiamo comprenderle nelle seguenti “categorie”:
a)
questioni relative all’origine della vita;
b)
questioni relative alla fine della vita;
c)
questioni inerenti la sessualità umana;
d)
questioni collegate alla tutela dell’ambiente
e della natura in genere;
e)
questioni di rilevanza sociale;
f)
questioni circa la tutela degli animali.
La
bioetica può essere considerata, innanzi tutto, un fenomeno
“culturale” che nasce dall’esigenza, sempre più crescente,
di migliorare l’impostazione morale delle strutture
sociali, anche al fine di garantire a tutti le migliori
condizioni possibili di benessere psico–fisico e socio–ambientale.
Questa esigenza è frutto, almeno in parte, di vari fattori:
a)
una maggiore consapevolezza dei limiti di tutte le scienze
e della necessità di elaborare una visione integrale
della realtà;
b)
i progressi della scienza e della tecnologia biomedica,
che hanno posto il problema di quali limiti siano da
considerare invalicabili per non danneggiare l’uomo;
c)
l’insufficienza della normativa giuridica e la sua relativizzazione
di fronte a valori una volta ritenuti assoluti e, quindi,
il non infrequente contrasto tra diritto e morale.
Comunque la si voglia definire, la bioetica va considerata e strutturata
in modo profondamente interdisciplinare, posto che essa
si presenta come un nuovo modo di operare la riflessione
scientifica sui problemi morali. Pertanto non deve “essere
concepita come un semplice ragguaglio sulle opinioni
e sulle posizioni etiche esistenti nella società e nella
cultura, ma, dovendo suggerire valori di riferimento
e delle linee di scelta operativa, dovrà impegnarsi
a fornire delle risposte obiettive su criteri razionalmente
validi” (Sgreccia).
Per
tale ragione, è di fondamentale importanza l’antropologia
di riferimento sulla base della quale viene avviata
la riflessione razionale e filosofica sulla vita umana
e su tutti quegli aspetti specifici di cui la bioetica
si occupa. Quest’ultima, intesa come etica razionale
che si interroga prevalentemente, se non esclusivamente,
sulla liceità dell’intervento biomedico sull’uomo, deve
quindi innanzi tutto cercare di rispondere alla domanda:
“chi è l’uomo”?
Ed
è proprio a tale interrogativo che oggi, forse ancor
più che in altre epoche, ci si trova in difficoltà nel
dare precisa e corretta risposta. La sfida che la scienza
medica pone all’uomo contemporaneo, la sfida che l’uomo
contemporaneo pone a se stesso, è altamente drammatica
e rischiosa. Sin dai tempi di Galileo la scienza, che
ha adottato il metodo sperimentale (osservazione, ipotesi,
esperimento, formulazione della legge, verifica), ha
inconsapevolmente assunto anche un finalismo che è quello
del dominio sulla natura e sul mondo e che si sintetizza
nella massima: “sapere è potere”, che a sua volta ricorda
la cartesiana affermazione: “conoscere per dominare”.
Le attuali possibilità manipolative dell’uomo
sull’uomo fanno sì che si corra il rischio reale di
un progressivo, e spesso inavvertito, “riduzionismo
biologico”. Tale rischio è legato anche al fatto
che la conoscenza scientifica non è conoscenza dell’essere.
Essa non può sapere esattamente “cosa sia” o “chi sia”
l’uomo (ogni singolo uomo) e pertanto è incapace
di fornirgli valori etici validi sui quali possa fondare
le sue scelte vitali.
Se
consideriamo il fatto che viviamo in un contesto socio–culturale
caratterizzato da un ampio “pluralismo etico” si può
comprendere facilmente perché anche le proposte etico–antropologiche
rilevabili in bioetica manifestano, di fatto, una sostanziale
frammentazione e una sorta di inconciliabilità “di principio”.
Nelle
diverse culture si riscontrano numerosi modelli costitutivi
dei valori fondamentali che, in modo oltremodo sintetico,
possono essere ricondotti a quattro principali:
a)
il modello nichilista, secondo cui l’unico valore
è la libertà di fare ciò che si vuole e l’unica responsabilità
è proprio quella di agire liberamente;
b)
il modello sociologico, secondo il quale non
esistono valori universali nel tempo o valutabili astrattamente
al di fuori di un concreto contesto sociale;
c)
il modello intuizionista-emozionale, che pone
nel sentimento la fondazione dei valori;
d)
il modello personalista, che fonda i valori sulla
realtà metafisica e l’obbligatorietà della norma morale
sulla “natura“ stessa dell’uomo considerata creatura
ragionevole.
Il
notevole sviluppo delle biotecnologie ha consentito
alla scienza medica di raggiungere progressivamente
una serie di sorprendenti risultati, a cominciare dalla
stessa possibilità di riprodurre la vita umana “in vitro”.
La disponibilità, al di fuori dell’utero materno, di
embrioni umani precoci ha così permesso di studiarne
più attentamente le modalità di sviluppo e di gettare
le basi per non più solo futuribili interventi terapeutici
a livello del genoma, come pure per quella pratica biomedica
ormai ampiamente conosciuta che è la “clonazione”.
Dal
punto di vista bioetico, il principale interrogativo
suscitato dalle diverse tipologie di intervento sugli
embrioni umani è proprio quello della loro stessa liceità.
Il
dibattito bioetico si è pertanto incentrato essenzialmente
sul problema del cosiddetto “statuto ontologico” dell’embrione
umano al fine di cercare di precisarne la natura specifica
e i diritti, assoluti o relativi che siano.
Oltre
alla procreazione artificiale, ugualmente legate
all’epoca prenatale vi sono altre importanti problematiche
sulle quali la bioetica di inizio vita deve confrontarsi.
Prima
tra tutte, quella relativa all’aborto volontario, la cui diffusione nel mondo,
grazie anche a legislazioni più o meno permissive, ha
raggiunto livelli notevolissimi. Tale situazione è imputabile a due
fattori principali: una diffusa mentalità antinatalitaria,
che utilizza impropriamente l’aborto come mezzo di limitazione
delle nascite, e il ricorso sempre più sistematico
alla diagnosi prenatale, che consente di individuare
i feti portatori di malattie ereditarie o di malformazioni
congenite e, conseguentemente, di eliminarli abortendoli.
Il
quesito etico fondamentale, per l’embrione come per
il feto,
è se possono e/o devono essere considerati, a pieno
titolo, “persona umana”.
Come
ben noto, nei Paesi del mondo industrializzato l’età
media si sta innalzando sempre di più, la qual cosa,
associata ad una contemporanea e significativa diminuzione
della natalità, comporta una progressiva inversione
del rapporto tra giovani e anziani a favore di quest’ultimi. Tale situazione pone, e in prospettiva
ne porrà sempre di più, non pochi problemi relativi,
tra l’altro, all’assistenza materiale e alle cure mediche
che è necessario garantire alla popolazione anziana.
E’
in questo contesto che, da alcuni decenni, in molti
ambienti, si è aperto un ampio dibattito pubblico sull’eutanasia
invocando da più parti il diritto per il malato “terminale”
—e più in generale per tutti coloro che soffrono— di
essere aiutati a morire “con dignità”, grazie a una
“buona morte” provocata deliberatamente per anticipare
e prevenire quella “naturale”.
Tra
le molteplici problematiche di cui si occupa la bioetica
clinica se ne possono citare due in particolare
per il rilievo assunto negli ultimi anni: i trapianti
d’organo e la prevenzione dell’AIDS.
Anche nell’ambito della sessualità umana sono diverse
le tematiche di interesse bioetico. La principale è probabilmente quella
relativa alla diffusione e all’utilizzo di diversi metodi
di “regolazione” della fertilità umana. Altre questioni,
in genere prese meno in considerazione, sono quelle
che riguardano comportamenti quali l’autoerotismo,
l’omosessualità, i rapporti prematrimoniali.
C’è
poi tutto un campo della vita, e quindi della bioetica,
che merita una riflessione scientifica organica e strutturata:
è quello dei problemi legati agli aspetti “sociali”
della vita stessa. La promozione della qualità della
vita, compito fondamentale e primario della bioetica,
non può non tener conto della natura “sociale” dell’uomo,
delle sue relazioni interpersonali e con le istituzioni,
dei suoi eventuali “disagi” esistenziali, del valore
“pubblico” della vita umana, dell’insopprimibile binomio
libertà (o autonomia personale) e responsabilità.
L’etica
ambientale, come tutti gli altri ambiti della bioetica,
è caratterizzata da un sostanziale “pluralismo” morale
che si manifesta in una diversità di “approcci” riconducibili
principalmente ai seguenti: l’approccio “antropocentrico”,
quello “biocentrico” e uno “ecocentrico”, nei quali
si ritrovano, come punti fondamentali di riferimento,
l’uomo, la vita e l’ecosistema, rispettivamente,
.
L’attenzione per la bioetica animale, infine,
si va diffondendo sempre di più, grazie anche all’azione
dei diversi movimenti ambientalisti e animalisti, alla
maggiore “sensibilità” dei vegetariani e dei gruppi
“salutisti” contrari alla manipolazione genica delle
carni, e anche ad una filosofia, con radici sia religiose
che laiche, che sostiene la presenza anche negli animali
di una limitata intelligenza e di una certa “senzienza”
(vale a dire della capacità di soffrire). E’ così che
gli interrogativi bioetici in questo campo si sono moltiplicati
divenendo oggetto di dibattiti pubblici e di attenzione
da parte dei mezzi di comunicazione di massa.
Angelo
Cafaro
Università Campus Bio-Medico di Roma
a.cafaro@unicampus.it
Cfr. G. RUSSO (a cura di), Bioetica fondamentale
e generale, SEI, Torino 1995.
Tra le varie questioni di cui si occupa la bioetica
sociale rientrano l’uso delle droghe e le tossicomanie,
l’alcolismo, il tabagismo, il ricorso al “doping”
nello sport. Altre questioni si confrontano col
problema degli anziani, con quello della equa distribuzione
delle risorse sanitarie, della prevenzione delle
malattie (vaccinazioni, ecc.), ecc.
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