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Editoriale
Aborto
a nascita parziale:
finalmente
vietato!
Il 18 aprile scorso la
Corte Suprema degli Stati Uniti d’America – sentenza
Gonzales, Attorney General v. L. Carhart et al. e
v. Planned Parenthood et al. – ha respinto tutti i
rilievi di incostituzionalità che si erano da tante
parti levati contro il Partial-Birth Abortion Ban Act:
una legge promossa da Bush per vietare il cosiddetto
aborto a nascita parziale e approvata dal Congresso nel
2003.
Secondo molti studiosi e osservatori, lo scandalo
dell’aborto a nascita parziale ha negli ultimi anni
causato una rilevante diminuzione del numero di aborti e
ha fortemente influenzato, almeno a partire dal 1996, la
politica americana e le ultime elezioni presidenziali.
Ma che cos’è l’aborto a nascita parziale e qual è la sua
storia?
Brevemente: L’aborto a
nascita parziale è una variante del metodo “Dilatazione
ed Evacuazione” (D&E), che è il metodo abortivo
più adottato nel secondo trimestre di gravidanza. La
D&E implica un allargamento dell’apertura dell’utero
sufficiente a inserire i ferri, dilaniare il feto ed
estrarlo pezzo per pezzo. Normalmente, ricorda la Corte
Suprema, si richiedono dai 10 ai 15 passaggi per la
totale evacuazione. L’aborto a nascita parziale
(detto a volte “Intact D&E”) avviene invece così:
si inverte il corpo del bambino nel grembo; si provoca
il parto tirando fuori il bambino dai piedi finché
rimanga dentro solo la testa, e, bambino in mano, si
perfora il cranio e si succhia via il cervello così da
fare implodere la testa che, finalmente, viene tirata
fuori anch’essa. Questa procedura, che ha il
vantaggio (se così si può dire) di evitare di fare a
pezzi il bambino dentro l’utero, è stata eseguita
migliaia di volte l’anno in molti ospedali statunitensi,
generalmente su bambini tra il quinto e il sesto mese,
ma anche molto oltre. Parente stretto di questa
procedura è il caso molto più grave del born-alive
abortion (aborto del nato vivo), in cui il bambino
nasce, appunto, vivo e viene lasciato morire in una
stanza dell’ospedale senza assistenza sanitaria. Si è
parlato, in questi casi, di diritto all’aborto
fallito, ovvero di esecuzione dell’aborto dopo
il parto. I casi accertati di born-alive abortion
hanno spinto il governo Bush a elaborare una federal
born-alive infants protection law, che è stata
approvata dal Congresso ed è entrata in vigore nel 2002.
L’aborto a nascita
parziale, ricorda sempre la sentenza dell’aprile scorso,
diventa di dominio pubblico nel 1992, quando il dott.
Martin Haskell offre una presentazione pubblica del suo
modo di eseguire l’operazione come variante della D&E,
e lo spiega così:
«A
questo punto, il chirurgo non mancino fa scivolare le
dita della [mano] sinistra sulla schiena del feto e
“aggancia” le spalle del feto con l’indice e le dita
ad anello (palmo in basso). Mentre mantiene questa tensione,
sollevando l’apertura dell’utero e applicando una trazione
sulle spalle con le dita della mano sinistra, il chirurgo
prende un paio di forbici Metzenbaum molto arrotondate
con la mano destra. Avanza con cautela la punta, incurvata
verso il basso, lungo la colonna vertebrale e sotto
il suo dito medio finché avverte il contatto con la
base del cranio sotto la punta del dito medio. Il chirurgo
forza dunque le forbici dentro la base del cranio o
nel foramen magnum. Dopo aver penetrato il cranio
con successo, egli allarga le forbici per rendere più
ampia l’apertura. Il chirurgo rimuove le forbici, introduce
un catetere di aspirazione nel buco, e procede all’evacuazione
del contenuto del cranio. Con il catetere ancora lì,
egli applica una trazione al feto rimuovendolo completamente
dal paziente».
Questa, spiega la
sentenza, è una descrizione clinica. Quest’altra è
invece la descrizione del metodo fatta da un’infermiera
che ha assistito il dott. Haskell in un aborto praticato
su una donna quasi al settimo mese:
«Il
dott. Haskell entrò con le forcipi, afferrò le gambe
del bambino e le tirò fuori lungo il canale di nascita.
Dunque, fece uscire il corpo e le braccia: tutto tranne
la testa. Il dottore tenne la testa proprio dentro l’utero…
Le piccole dita del bambino si aprivano e si chiudevano
con forza, e i piedini scalciavano. A quel punto, il
dottore conficcò le forbici nella nuca e le braccia
del bambino si allungarono di scatto, come una reazione
improvvisa, come un sussulto, come un bambino fa quando
pensa di stare per cadere. Il dottore divaricò le forbici,
conficcò un potente tubo di aspirazione nell’apertura
e risucchiò il cervello del bambino. Il bambino si afflosciò…
Egli tagliò il cordone ombelicale e tirò fuori la placenta.
Poi gettò il bambino in un recipiente insieme alla placenta
e agli strumenti che aveva appena usato».
Questa pratica abortiva
solleva presto un grosso clamore e, negli anni
immediatamente successivi, provoca una forte e
travagliata reazione istituzionale. Nel 1996, il
Congresso (Parlamento) degli Stati Uniti approva una
legge che la vieta. Clinton usa il suo potere di veto
per bloccare la legge. Nel 1997, il Congresso approva
nuovamente una legge che vieta il partial-birth
abortion. Clinton esercita di nuovo il suo potere di
veto. Nel 2000, caso Stenberg v. Carhart, la
Corte Suprema degli Stati Uniti, notoriamente a
maggioranza abortista, invalida (5 voti a 4) una legge
novella del Nebraska che dichiara illecito l’aborto a
nascita parziale: la motivazione principale ruota
intorno alla tutela del diritto di scelta della donna.
Si tratta di un precedente giudiziario forte che frena
di fatto qualunque altro stato dell’Unione dal cercare
di imitare il Nebraska. Fin qui, sei uomini – Clinton
più i cinque giudici della Corte Suprema – bloccano
reiteratamente il Potere Legislativo degli Stati Uniti
d’America. Sia Al Gore che Kerry, nelle rispettive
campagne elettorali, dichiarano che avrebbero continuato
a porre il veto a future leggi contro il
partial-birth abortion. Bush si impegna invece a
promuovere la legge di messa al bando. Viene eletto, e
mantiene la promessa. Recenti statistiche, d’altronde,
dicono che circa il 68% della popolazione americana
pensa che la procedura debba essere illegale, mentre
solo il 25% ritiene che dovrebbe essere consentita.
Il 5 novembre 2003, Bush firma la legge dichiarando, tra
l’altro: «Il miglior argomento contro l’aborto a nascita
parziale è la semplice descrizione di che cosa avviene e
a chi avviene. Esso comporta la parziale messa al mondo
di un bambino o di una bambina vivi e l’immediata,
violenta, fine di quella vita. La nostra nazione deve ai
suoi figli un differente e miglior benvenuto».
A questo punto, è lotta
aperta; e il terreno prescelto sono le corti di
giustizia. Lo stesso 5 novembre, un giudice di un
distretto federale del Nebraska blocca l’applicazione
della legge nei confronti di quattro specifici
abortisti. Il giorno dopo, sei giudici federali di New
York e della California emanano ordinanze che limitano
fortemente l’applicazione della legge. Questi giudici
ritengono che la legge sia incostituzionale perché non
include una health exception: vale a dire, una
clausola che consenta la procedura nel caso di rischio
per la salute della madre. Ciò non sarebbe
irragionevole. Sennonché, come fa notare la Corte il 18
aprile 2007, la legge vieta di «eseguire consapevolmente
un aborto a nascita parziale […] che non sia necessario
a salvare la vita della madre». La clausola dunque c’è…
anche se non ce ne sarebbe bisogno perché, dagli
studi promossi dal Congresso, emergeva già che la
procedura non è mai richiesta per salvare la vita della
madre. Piuttosto, si era calcolato che nella vasta
maggioranza dei casi essa veniva applicata su healthy
babies of healthy mothers. Per verificare meglio
questo aspetto – se la procedura fosse mai stata usata
per salvare la vita della madre – Bush aveva anche
chiesto ad alcuni ospedali di consegnare i registri
relativi agli aborti a nascita parziale effettuati; il
Governo si sarebbe impegnato a tutelare la privacy dei
pazienti. Ma gli ospedali rifiutarono e attivarono i
loro legali per bloccare l’ordinanza.
In realtà, la health
exception che invocavano gli abortisti non
riguardava la vita della madre ma imprecisate condizioni
di salute (anche psicologiche o esistenziali)
potenzialmente in grado di contenere qualunque
motivazione possa spingere una donna a scegliere di
abortire. Il 18 aprile scorso, la Corte Suprema degli
Stati Uniti d’America ha rifiutato la legittimità di
questo vincolo al potere legislativo in favore di un
presunto diritto assoluto e illimitato all’aborto. Nel
far ciò, ha evidenziato non solo l’esistenza di un
legittimo interesse dello Stato per i diritti e la
salute della donna ma anche per la vita del feto e
«l’integrità ed eticità della professione medica». I
fini espliciti della legge del 2003, dice la sentenza,
sono «proteggere la vita umana innocente da una
procedura brutale e inumana e proteggere l’eticità e la
reputazione della professione medica».
La Gonzales,
Attorney General v. L. Carhart et al. non rinnega i
princìpi delle sue precedenti sentenze pro aborto, prime
fra tutte la famosa Roe v. Wade del 1973; ma si
muove certamente su un terreno minato, come emerge anche
dall’opinione dissenziente del giudice Ginsburg,
sottoscritta da altri tre dei nove giudici della Corte
Suprema. È vero, come sostengono molti abortisti, che il
divieto del partial-birth abortion è solo un
passo verso ulteriori restrizioni all’aborto e, infine,
verso il divieto totale? Speriamo! La coerenza è una
cosa seria. In effetti, dalla condanna dell’infanticidio
e di alcuni tipi di aborto alla condanna dell’aborto in
generale il passo, sia umano che concettuale, non è
difficile.
Il presente numero di
Questioni di Bioetica si apre con un articolo
sulle droghe leggere di Francesco Romano e prosegue con
un articolo di Luciano Sesta sull’eutanasia e uno di
Francesco Ferrara sulla regolamentazione giuridica delle
coppie di fatto. Continuiamo una linea editoriale
attenta sia agli aspetti più delicati dell’esistenza
umana sia alle questioni più dibattute nella pubblica
arena. I nostri lettori aumentano e, con essi, aumentano
gli apprezzamenti e i commenti positivi. Ringraziamo
tutti di cuore, e invitiamo calorosamente a sottoporci,
non solo articoli e recensioni, ma anche indicazioni su
novità editoriali e notizie per la rassegna stampa.
Fulvio Di Blasi
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