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Recensioni:
X.
Lacroix, In principio la differenza. Omosessualità,
matrimonio, adozione, a cura di Cristina Coronelli,
Vita e Pensiero, Milano 2006
Dinanzi agli attuali
scenari, in cui sembra essere messo in discussione il
modello eterosessuale di coppia convivente e, in modo
più radicale, il senso fondamentale della famiglia, il
filosofo-teologo Xavier Lacroix propone una serie di
argomentazioni tanto approfondite quanto chiare, in
nome del diritto del bambino ad un’identità sessuata e
ad un equilibrato orientamento sessuale sulla base del
principio secondo cui “i bambini non vengono al mondo
per rispondere ai bisogni degli adulti” (p. 53). Di
fronte al controverso problema del riconoscimento
giuridico tanto dei diritti della maggioranza quanto di
quelli delle minoranze, in nome di una democrazia
sostanziale che tuteli i diritti individuali della
persona, sanciti anche dal comma 2 dell’art. 3 della
Costituzione italiana, il saggio di Lacroix appare
interessante per ridiscutere la nozione stessa di
diritto.
La tesi di Lacroix risulta
convincente nel delineare la vera natura dell’istanza di
riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali e del
loro diritto al figlio: non si tratta tanto di tutelare
diritti individuali, quanto, piuttosto, di intendere il
diritto stesso come uno strumento per la gestione di
desideri privati o per far sì che un interesse di
parte possa assurgere a norma istituzionalizzata. In
quest’ultimo caso, lungi dal considerarci in una vera
democrazia, si assisterebbe ad una minaccia al bene
comune, in nome della pretesa di ergere a norma un
interesse privato. Come tale si rivela la richiesta delle
coppie omosessuali al riconoscimento giuridico del
matrimonio e alla richiesta di adozione e/o di accesso
all’uso delle tecnologie della fecondazione artificiale.
In questo caso, infatti, la protezione giuridica di un
interesse privato rappresenta una minaccia al bene
comune, poiché si ignora il fatto che la presenza di
genitori di sesso diverso è fondamentale per
l’interiorizzazione della differenza sessuale e la
strutturazione dell’identità sessuale del bambino/a (p.
73).
Lacroix si sofferma nel
rilevare che l’interiorizzazione di tale differenza è
anteriore all’orientamento sessuale e rappresenta la
dimensione originaria della costituzione dell’identità
sessuale, che nell’ambito delle relazioni genitoriali si
determina “attraverso un sottile gioco di identificazioni
e di differenziazioni” (p. 74). Il rapporto tra identità e
differenza è di reciproca implicazione poiché l’identico è
sempre l’identico di un differente e il differente è
sempre il differente di un identico e solo nella coppia
eterosessuale tale rapporto è garantito. Il fatto che il
bambino sia accolto all’interno di una relazione che
“contempli un uomo orientato verso una donna e una donna
orientata verso un uomo” non può che essere un dato
significativo e strutturante la sua identità sessuale
(p. 54). La legge, pertanto, laddove riconosce l’omoparentalità,
viene connotandosi nell’ambito di una concezione
utilitaria del diritto, la cui funzione, piuttosto che
tutelare il bene comune, si riduce alla regolamentazione,
di volta in volta, di interessi particolari, ignorando il
principio secondo cui il diritto solo nella misura in cui
è impersonale tutela il bene comune, che è bene di
tutti (p. 67). Le linee portanti delle argomentazioni di
Lacroix seguono l’impianto di una critica radicale delle
tesi sostenute per fondare l’omoparentalità:
l’argomentazione socio-demografica, l’argomentazione della
bisessualità e l’argomentazione della pluriparentalità .
In merito alla prima
argomentazione Lacroix sostiene che alcuni studi
di recenti ricerche americane, a cui si suole fare
riferimento per sostenere la tesi che non si presentano
differenze, in termini di benessere e salute, fra i
bambini cresciuti da “popolazioni” omosessuali e quelli
cresciuti da “popolazioni” eterosessuali, rivelano molti
limiti, fra cui quello di ispirarsi a un criterio rigido
di scientificità e non al principio popperiano di
falsificabilità, ovvero, come afferma Lacroix, “a
quei punti di vista che potrebbero contraddire la teoria”.
Tali ricerche, dunque, rimanendo imbrigliate in una sorta
di empirismo puro, rivelano che i risultati si
“muovono tutti nella direzione della tesi annunciata,
senza nessun contro-esempio, senza nessuna riserva” (p.
25).
In merito alla seconda
argomentazione, Lacroix fa notare come si sostiene
una vera e propria negazione della identità sessuata
nella misura in cui si fa ricorso alla nozione freudiana
di “bisessualità psichica”, per fondare l’omoparentalità.
Secondo tale nozione, nello stesso soggetto sono presenti
alcuni tratti caratteriali sia maschili che femminili e
pertanto i bambini allevati da coppie omosessuali
avrebbero comunque l’opportunità di rapportarsi con le due
polarità. Per le ragioni sopramenzionate si tende a
sostenere che, indipendentemente dall’appartenenza
sessuata e dall’orientamento sessuale dei genitori, il
bambino non verrà danneggiato in termini di costituzione
della sua identità sessuale, negando in tal modo il
principio secondo cui la famiglia eterosessuale è di per
sé strutturante rispetto alla costituzione
dell’identità sessuale del bambino, proprio perché in essa
abitano le differenze sessuali, laddove le due
figure genitoriali (padre-madre) sono i due poli
differenti fondamentali per l’identità sessuale del
bambino.
Si tende, inoltre, a
considerare l’identità sessuale separata
dall’identità sessuata intendendo la prima nel
senso di un processo di elaborazione definito da una
costruzione sociale e culturale di appartenenza. Pertanto,
ad ognuno spetterebbe trovare la propria strada e
l’identificazione con il modello sessuale che si
preferisce, negando il principio che la sessualità umana
si fondi su basi biologiche e che in genere
l’orientamento sessuale mostra di essere in stretto
rapporto con la sessualità biologica. Tale pretesa
conduce ad una sorta di “de-eterosessualizzazione”
delle regole della parentela, ignorando, secondo l’Autore,
il fatto che la realtà della famiglia è incisa nel
corpo e che la costruzione della stessa vita familiare
passa attraverso il dato fondamentale della corporeità. Si
tratta di un’operazione inedita che, secondo Lacroix,
avrebbe come peggiore risultato quello di assegnare alla
parentela una connotazione esclusivamente sociale,
affettiva e culturale, occultandone il dato
originario, su cui essa stessa si regge, cioè la valenza
biologica e ignorando che la sua configurazione è “giocoforza
sessuata e duale”.
Non si tratta di una
questione di “omosessualità”, ma, come afferma
Lacroix, di “omosessuazione” cioè della negazione
del valore e del significato dell’identità sessuata,
nozione che definisce il maschile e il femminile come
categorie biologiche che contraddistinguono il corpo
sessuato e sono determinanti nella strutturazione
dell’identità sessuale. Secondo alcuni vi sono elementi
unicamente sociali alla base dello sviluppo dell’identità
sessuale. Se così fosse si dovrebbe poter affermare che la
nozione di identità sessuata sia incerta e poco
definibile e potrebbe essere dichiarato che maschi o
femmine non si nasce, ma si diventa. È la tesi che
secondo Lacroix esprime la tendenza culturale dei nostri
tempi e che viene sostenuta per giustificare l’omoparentalità,
seguendo una logica di decostruzione della soggettività
secondo cui “tutto è culturale” (p. 58). Tale tendenza non
ha per Lacroix alcun fondamento perché riduce l’uomo a
cultura e impedisce di riconoscere che vi sono elementi
originari della persona che si inscrivono nel corpo,
elementi indisponibili che esigono rispetto in
quanto appartengono alla natura stessa dell’uomo. Fra tali
elementi vi sono quelli che definiscono l’identità
sessuata della persona. Così, afferma Lacroix, “anziché
articolare natura e cultura, corpo e spirito, una simile
forma di pensiero li contrappone, dissociandoli” (p. 62).
In secondo luogo,
assegnare alla parentela una connotazione affettiva
significa ridurre il significato della famiglia ad un
rapporto “genitori-figli” fondato esclusivamente sugli
affetti, pertanto si dice che “le coppie omosessuali
possono essere affettuose quanto le coppie eterosessuali”
(p 70). Amare un figlio non significa soltanto nutrire
degli affetti e volergli bene. Dietro tale concezione
dell’amore si nasconde per Lacroix una visione romantica
dell’amore che tende ad identificarlo con la spontaneità
del sentimento. Lacroix ritiene invece che il senso
autentico dell’amore consista nel riconoscimento pieno
dell’alterità del figlio che si manifesta nel sostenere
“le condizioni oggettive della crescita dell’altro” (p
71). A tal fine occorre riconoscere che l’identità
sessuata del padre in quanto uomo e della madre in quanto
donna non è dissociabile dall’orientamento sessuale del
loro desiderio, come sostiene una logica che separa il
sessuato dal sessuale. La crescita del bambino
nell’ambito di una coppia eterosessuale, infatti,
struttura l’identità sessuale e l’orientamento della
sessualità di quest’ultimo. Appare superfluo rilevare che
proprio tale tesi non dovrebbe essere disconosciuta da
coloro che sostengono che la sessualità sia unicamente il
prodotto ultimo di un apprendimento sociale.
In merito alla terza
argomentazione, Lacroix esprime alcune significative
posizioni che evidenziano come si stia pervenendo ad una
sorta di riduzionismo funzionalistico applicato alla
persona e fondato sulla dissociazione tra “ciò che si
è” e “ciò che si fa”, dissociazione che avrebbe
l’obiettivo di rendere ciò che si fa indipendente da ciò
che si è.
Secondo alcune tesi a
sostegno dell’omoparentalità, si tende, pertanto, a
dissociare parentalità e parentela, ovvero
la figura di colui che è genitore e che educa dalla figura
di colui che genera. La genitorialità si riduce
così ad una pura e semplice funzione che può essere
assolta da chiunque e pertanto si tende a sostituire alla
figura del “genitore” una sorta di figura altra, che
Lacroix chiama “adulto referente”. L’attuale sfida
bioetica può dunque riassumersi nel provocatorio
domandarsi di quanto conteranno i corpi nell’era della
tecnologia avanzata, in cui un pensiero unico tende
a dissociare natura e cultura, corpo e spirito,
riproponendo un paradigma classico di tipo dicotomico che
si era mostrato fino a qualche tempo fa di volere
combattere.
E, inoltre, se il maschile
e il femminile non costituiscono più le forme naturali
dell’umano, la posta in gioco non potrà che essere la
nostra identità personale e il nostro essere al mondo
anche come corpo e, dunque, come afferma Maurice
Merleau- Ponty, come esseri sessuati. L’anelito
alla verità, che ci consente di vedere le cose nella loro
natura, non può che essere sorretto dallo sguardo che “abita
le differenze” e intende il maschile e il femminile
come due soggettività complementari che si relazionano
nel duplice senso della ricerca della identità e della
differenza.
Maria Rita Fedele |
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