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ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 4 - Settembre 2007 
     
 

Italia: ancora sul caso Welby

Giugno 2007. Mario Riccio, il medico anestesista di Cremona che ha interrotto la ventilazione meccanica a Piergiorgio Welby dopo averlo sedato, dovrebbe essere processato per omicidio del consenziente. È questo il senso del provvedimento assunto dal gip di Roma Renato Laviola che ha respinto per la seconda volta la richiesta di archiviazione formulata dalla procura chiedendo l'imputazione coatta. Nelle 7 pagine di motivazioni, il gip osserva che la morte di Welby è stata causata "da una sorta di eutanasia passiva" che si è sostanziata "in un intervento attivo dell'anestesista Mario Riccio", giunto apposta da Cremona a Roma. E se esiste "il diritto al rifiuto delle cure", in questo caso "non c'è stata mera omissione di cure e trattamenti", ma una violazione del "diritto alla vita" che se pure non codificato, si fonda su norme che sanzionano l'omicidio del consenziente e l'istigazione al suicidio. Mario Riccio si è detto "sorpreso dalla decisione del gip, ma pronto ad affrontare anche il carcere".

Secondo alcuni la decisione del gip sarebbe sbagliata, perché la legge italiana (e il buon senso) prevede che se un paziente (non ancora collegato al dispositivo che potrebbe mantenerlo in vita) rifiuta di esservi collegato, nessuno può obbligarlo a farlo. Se lo stesso paziente accetta di essere tenuto in vita da un macchinario e poi, dopo un certo periodo di tempo, decide di rinunciarvi, non ha senso impedirglielo. A meno di non pensare che accettare una terapia priva il paziente della possibilità di cambiare idea e di esercitare la sua originaria possibilità di rifiutarla. Con il rischio che il paziente, i familiari e anche il medico potrebbero essere indotti a non iniziare una terapia, per esempio la ventilazione, solo per il timore di non poterla più sospendere quando le circostanze dovessero renderla inaccettabile. Questi argomenti hanno una loro pertinenza, ma tendono a semplificare l’effettiva complessità del problema trascurandone le numerose implicazioni. E infatti, vero è che un paziente può rifiutare anche una cura salvavita, ma è anche vero che, accettandola, egli accetta di affidarsi alle responsabilità del medico, che non può essere trattato come un strumento passivo della volontà del paziente. E mentre un medico non può e non deve costringere un paziente a curarsi, è anche vero che un paziente non può e non deve costringere un medico a compiere un atto che, in alcune circostanze, si configura, come ha ritenuto il gip di Roma nel caso Welby, come un “omicidio del consenziente”. Poco importa che il medico in questione, come qui Riccio, sia consenziente: se fosse sufficiente questo a rendere legittima l’interruzione della vita di un paziente, infatti, dovremmo ritenere lecito anche il gesto di un medico generico che fornisse un kit per il suicidio assistito a un paziente depresso che liberamente glielo chiede.

 
 
 
 

Italia e Austria: diritti "umani" agli animali?

Aprile 2007. Hiasl è uno scimpanzé di 26 anni e vive a Vienna. Catturato nel 1983 in una foresta della Sierra Leone e destinato a un laboratorio per ricerche mediche, per un problema di documenti fu fermato alla dogana e consegnato a una casa protetta per animali. Dove è rimasto in pace fino a pochi mesi fa, quando un’animalista anglo-austriaca, temendo che Hiasl potesse finire nuovamente in uno zoo o fra le mani di uno scienziato, a causa della difficoltà dei suoi custodi nel coprire le spese per cibo e veterinario, ne ha chiesto l’affidamento legale. Poiché però l’affidamento può riguardare solamente persone vere e proprie, il tribunale della città di Mödling ha dovuto decidere se riconoscere o meno all’anzianotto primate la condizione umana.
Il caso è stato seguito con curiosità dai media fino in Giappone e in Nuova Zelanda, mentre schiere di animalisti intravedevano la possibilità di una sentenza dirompente: la prima in cui fosse riconosciuta l’insussistenza di una linea di divisione fra uomo e animale. Speranza frustrata il 24 aprile dal giudice Barbara Bart, che pur non pronunciandosi nettamente sulla paraumanità di Hiasl, ha negato l’affidamento.

Maggio 2007. Pietro Folena, deputato di Rifondazione Comunista e presidente della commissione cultura della Camera, ha organizzato un incontro a cui hanno partecipato Tom Regan, nume di riferimento insieme a Singer del movimento per la liberazione animale, il giurista Stefano Rodotà, il sottosegretario all’Economia e dirigente dei Verdi Paolo Cento e il deputato dei Comunisti Italiani e storico Nicola Tranfaglia. Tema della tavola rotonda, la necessità di un nuovo patto sociale in cui la difesa dei diritti umani si accompagni a quella dei diritti animali. E senza troppi sconti, sembrerebbe: dopo due ore di dibattito, Enrico Moriconi, consigliere dei Verdi per la regione Piemonte, sottolineava il lungo cammino che resta ancora da percorrere, perché se per molti può essere «facile interessarsi ai diritti degli animali di affezione», in Usa c’è chi si è già mosso contro le violenze «sulle aragoste gettate vive su una piastra elettrica o immerse nell’acqua bollente», costringendo ristoranti e catene commerciali a una significativa retromarcia (Notizie entrambe riprese da A. Galli, Animali. Diritti riconosciuti come per gli uomini? “Avvenire” 29 luglio 2007).

L’ipotesi che anche gli animali abbiano diritti è molto discussa in bioetica, anche se si condivide l’idea che gli esseri umani abbiano comunque dei doveri nei confronti degli animali, primo tra tutti quello di non infliggere loro sofferenze ingiustificate. Non tutti sanno, per esempio, dell’esistenza di una “Dichiarazione universale dei diritti dell’animale” dell’Unesco, che risale al 1978 e in cui si stabilisce che «i diritti dell’animale devono essere difesi dalla legge come i diritti dell’uomo» e, fra le altre cose, «che l’educazione deve insegnare sin dall’infanzia a osservare, comprendere, rispettare e amare gli animali». Tuttavia, da ciò non si evince che i diritti degli animali siano come quelli dell’uomo. Le parole della Dichiarazione, piuttosto, esprimono l’idea che anche i diritti degli animali – nella loro peculiare specificità, diversa da quella dei diritti umani – devono trovare, come questi ultimi, una tutela giuridica. Del resto, quando si vogliono equiparare a tutti i costi i diritti umani a quelli animali in realtà si arriva quasi sempre a un rovesciamento che finisce per privilegiare gli animali a spese dell’uomo. Significativi, da questo punto di vista, alcuni passaggi del programma di governo stilato dall’Unione, dal titolo “Per il bene dell’Italia”. Pur non spendendo una parola sul sacrificio di embrioni umani a scopi scientifici, il programma dell’Unione sottolinea che occorre «promuovere e favorire la ricerca effettuata con metodi alternativi all’utilizzo di animali e progressivamente abolire la ricerca e la sperimentazione che ne facciano uso» (p. 153).

 
 
 
 

Italia: ancora sulle “maldestre” applicazioni della legge 194/1978

Giugno 2007. All’ospedale San Paolo di Milano una donna di 38 anni si è sottoposta all’aborto volontario per interrompere la gravidanza di uno dei due gemelli che portava in grembo, affetto da sindrome di Down. Al termine dell'intervento però si è scoperto che era stato soppresso il feto sano e non quello malato. Una notizia alla quale la donna ha reagito scegliendo per un secondo aborto. L’errore sarebbe avvenuto perché nel periodo tra l’amniocentesi e l’interruzione di gravidanza i due gemelli si sono scambiati di posto. Questa l’autodifesa di Anna Maria Marconi, la ginecologa che ha praticato l'aborto selettivo. Secondo l'ultimo "Rapporto Pit salute 2006" risultano in aumento i sospetti errori per errata diagnosi prenatale (12%, +9% delle segnalazioni rispetto al 2005).

Riportiamo il commento di Eugenia Roccella: «Se Tommaso morto all’ospedale Careggi di Firenze nel marzo 2007 dopo un aborto fallito non fosse sopravvissuto, non se ne sarebbe parlato affatto; e altrettanto sarebbe accaduto se la bimba eliminata al San Paolo fosse stata effettivamente la piccola Down. Ogni volta che un episodio del genere viene alla luce, si riapre la polemica tra chi è a favore di una legge sull'aborto e chi no, e il dibattito etico si arroventa. Dopo alcuni giorni, però, tutto torna come prima, e una pesante coltre di silenzio e indifferenza copre la terribile marcia che stiamo compiendo verso la selezione genetica, travestita da libera scelta dei genitori. In questo modo stiamo approdando a risultati di pulizia etnica che nemmeno la peggiore violenza razzista dei governi totalitari è mai riuscita ad ottenere. Si scrivono articoli politicamente corretti sull'accoglienza nei confronti dei Down, si girano film emozionanti con protagonisti diversamente abili, ma poi si chiudono gli occhi di fronte alla realtà di una pratica di selezione genetica diventata ormai ordinaria routine (E. Roccella, Serve un tagliando alla 194, “Avvenire” 29 agosto 2007).

 
 
 
 

Italia: Giovanni Nuvoli e Piergiorgio Welby

Luglio 2007. Concessi i funerali religiosi a Giovanni Nuvoli, 53 anni da sette ammalato di sclerosi multipla amiotrofica, attaccato ad un respiratore artificiale, lasciatosi morire rifiutando per giorni acqua e cibo. Prosegue dopo la sua morte nell’opinione pubblica il dibattito acceso che ha accompagnato gli ultimi mesi di vita di Nuvoli: qualcuno ha obiettato sulla decisione della Chiesa di permettere le esequie religiose che invece erano state negate nel dicembre scorso ad un altro ammalato di uguale forma di sclerosi, Piergiorgio Welby, deceduto dopo l’interruzione da lui richiesta della ventilazione meccanica.

Su questo aspetto particolare della vicenda, Roberta Gisotti ha raccolto il parere dell’arcivescovo Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia della vita:
«Sì, la concessione dei funerali religiosi a chi si lascia morire o nel caso che abbiamo in considerazione o in altri casi simili o di suicidio, viene regolata dall’autorità pastorale del luogo in base ad alcuni criteri: quando c’è un’esplicita opposizione alla fede cattolica, un dichiarato rifiuto dei Sacramenti, è chiaro che non si può dare il funerale religioso anche per rispettare la volontà del paziente stesso, per non imporre una religiosità per forza, dall’esterno. Quando questo non risulta e ci sono situazioni drammatiche, la Chiesa solitamente interpreta in maniera benigna e concede il funerale religioso.
Io penso che in questo caso sia stato applicato un criterio pastorale comprensivo, andando incontro ad una situazione che è stata di lunga sofferenza.
Quindi, noi dobbiamo ritenere che non solo è pienamente legittimo ma accompagnarlo con la nostra preghiera, perché le sofferenze affrontate da questo nostro fratello siano state incontrate dalla misericordia e dalla ricchezza di grazia del nostro Signore Gesù Cristo, Redentore di tutta l’umanità»
(www.fattisentire.net).

 
 
 
 

Portogallo: obiezione di coscienza e aborto in Portogallo

Luglio 2007. Entra in vigore la legge sull’aborto, grazie a cui qualsiasi donna portoghese – entro la decima settimana di gestazione – potrebbe presentarsi in un centro medico e chiedere di mettere fine alla gravidanza senza altra ragione della propria volontà. La pratica, però, sarà molto più complessa. Perché i medici obiettori - nel sistema pubblico portoghese - sono migliaia. Il primo passo della nuova legge fu il referendum dello scorso febbraio, al quale partecipò meno della metà degli elettori. "Vinse" il sì (con il 59%), ma in realtà la consulta terminò con il trionfo dell'astensione. Il referendum non era vincolante. Nonostante questo ambiguo risultato, il governo socialista di José Socrates decise di andare avanti. Il testo approvato dal Parlamento depenalizza (e di fatto liberalizza) l'aborto entro le prime dieci settimane. Finora, la norma del 1984 permetteva l'interruzione volontaria di gravidanza solo in tre casi: stupro, grave malformazione del feto e rischio di morte per la madre. Al di fuori di questi presupposti, erano previsti fino a tre anni di carcere.

A questo punto, la frettolosa approvazione della legge potrebbe scontrarsi con l'obiezione di coscienza dei medici. Al sistema sanitario portoghese – secondo la stampa locale – non restano che due alternative. C'è chi ipotizza il trasferimento di medici non obiettori da un ospedale all'altro, a seconda delle esigenze. Una soluzione quanto meno complicata. La seconda possibilità è ricorrere alle cliniche private, disposte a fare ciò che gli ospedali pubblici rifiutano. Per ora sono solo due gli istituti privati con tutti i permessi per «lavorare» in Portogallo. Uno dei due - come previsto da anni - è la spagnola "Clinica dos Arcos" di Badajoz, al confine fra i due Paesi iberici. Conosciuta fra le portoghesi che andavano ad abortire nella vicina Spagna, la clinica ora ha aperto una filiale a Lisbona e ne prepara un'altra a Porto. La sua direttrice, Yolanda Hernandez, ha detto di essere in contatto con alcuni ospedali pubblici nell'eventualità che questi non riuscissero a rispondere alle richieste di aborti per l'obiezione di coscienza dei medici o per le carenze di strutture adeguate. Per non perdere tempo, la "Clinica dos Arcos" ha già fatto sapere anche i prezzi delle interruzioni volontarie di gravidanza: da 375 a 475 euro (M. Coricelli, Aborto in Portogallo: dilagano gli obiettori, in “Avvenire” 13 luglio 2007).

 
 
 
 

Messico: Amnesty International apre le porte al “diritto” di aborto

Agosto 2007. Amnesty International, la più grande associazione umanitaria del mondo (con 2,2 milioni di aderenti), ha cambiato la propria politica in tema di aborto includendo il sostegno alla depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza e il «libero esercizio dei diritti sessuali e riproduttivi» tra i propri obiettivi «umanitari».
La decisione è stata ratificata dal “28° Incontro del Comitato Internazionale di Amnesty International”, svoltosi a Cocoyoc, in Messico. Le motivazioni sono quelle "classiche": i casi di stupro - o di "gravidanza forzata" (forced pregnancy) secondo l'espressione coniata dalla stessa Amnesty - e il fatto che secondo l'Organizzazione mondiale della sanità ogni anno 68.000 donne abortiscano in situazioni sanitarie carenti (Notizia ripresa da www.vanthuanobservatory.org)

A giugno scorso, in un’intervista al “National Catholic Register”, il cardinale Renato Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, ha criticato la nuova direttiva di Amnesty, affermando che con essa «Amnesty International ha tradito la sua missione» perché porta avanti un doppio standard morale: da una parte si batte per l’abolizione della pena di morte, mentre ora «condona l’uccisione di un bambino non nato».

 
 
 
 

Gran Bretagna: via alla creazione di ibridi uomo-animale

Settembre 2007. La Gran Bretagna, a differenza del resto del mondo, ha dunque detto sì alla creazione delle chimere: lo ha annunciato la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea). Per permettere la creazione di questi ibridi, il nucleo di una cellula umana viene inserito nell'ovocita animale svuotato quasi completamente del suo patrimonio genetico. Un portavoce della Hfea ha giustificato la scelta sostenendo che le varie consultazioni pubbliche avrebbero dimostrato che «i cittadini sono favorevoli all'idea della creazione di ibridi se questi potranno spianare la strada della cura di malattie come l'Alzheimer». Gli embrioni, assicurano i ricercatori, saranno distrutti dopo quattordici giorni, «dunque non c'è di che preoccuparsi». Alcuni ricercatori del settore hanno imputato il fallimento della possibilità di ricavare cellule staminali da embrioni umani clonati alla mancanza di disponibilità di un numero sufficiente di ovociti umani: è difficile convincere le donne a "donarli" alla ricerca scientifica, vista la pesantezza degli interventi cui dovrebbero essere sottoposte. Da qui l'idea di utilizzare ovociti animali, sostituendone il nucleo con quello ricavato da cellule umane somatiche adulte: in questo modo i 46 cromosomi del Dna della nuova entità sono umani, ma il patrimonio genetico nella sua interezza non lo è. Nell'ovocita, infatti, si trovano i mitocondri, corpuscoli determinanti per la vita cellulare, che hanno all'interno un proprio patrimonio genetico. Animale, in questo caso.
I geni in questa nuova entità sono quindi per il 99.9% derivanti dall'uomo e per lo 0.1% dall'animale.

«Vedere cosa succede». Secondo Augusto Pessina, microbiologo all’Università di Milano e presidente dell’Associazione italiana di colture cellulari, è questo l’unico motivo ipotizzabile per spiegare esperimenti come quello che in Inghilterra presto porterà alla creazione di embrioni ibridi uomo-animale. Un modo di procedere che, sia nel contenuto che nel metodo, di scientifico sembra avere ben poco. Il problema della medicina è di avere un modello che si avvicini il più possibile a quello reale, tant’è vero che una delle obiezioni mosse dagli animalisti contro gli esperimenti sui topi è negarne l’attendibilità scientifica, proprio perché l’uomo è differente dal topo. Nel caso degli ibridi, sostiene Pessina, «mi chiedo come si possa pretendere di studiare una patologia umana aggiungendo al modello preso in considerazione qualcosa di non umano. Dal punto di vista scientifico mi sembra un controsenso. Ma ci sono ragioni anche pratiche, perché, ad esempio, non si sa quali interazioni si produrranno tra il Dna umano e quello mitocondriale animale. Insomma, biologicamente è un gran pasticcio, che denota un modo di procedere irrazionale, motivato solo dalla curiosità di vedere cosa succede».
E anche ammettendo che l'esperimento riesca, cosa saranno queste nuove entità? Le eventuali linee cellulari che poi se ne ricaverebbero difficilmente potrebbero utilizzarsi nell'uomo, poiché la presenza di materiale di origine animale potrebbe attivare virus animali endogeni, e quindi patologie incontrollabili. Il dialogo fra i due "sistemi" diversi, come spiega anche Angelo Vescovi, potrebbe non funzionare affatto, e soprattutto non funzionare nella ricerca su malattie neurologiche come Alzheimer e Parkinson, caratterizzate proprio dalla alterazione delle attività energetiche delle cellule dei pazienti. E dunque anche per Vescovi tutto il rumore sollevato attorno alla decisione della Hfea «non ha nulla a che fare con la scienza e i malati, ma con ben altri interessi, anche economici». Diceva di brevetti già depositati in tutto il mondo, in fiduciosa attesa di sviluppi della ricerca. È noto, poi, che le società biotech sono quotate in Borsa, e che risentono assai positivamente di certi annunci mediatici - come accadde negli Usa alla società di Robert Lanza, che dopo un annuncio a effetto sulle staminali embrionali vide i suoi titoli crescere in un giorno del 400 per cento.

 
 
 
 

Svizzera: coma vigile e accanimento terapeutico: la vicenda di Antonio Trotta

Antonio Trotta, 38 anni, è in coma vigile dall'estate del 2005, dal giorno in cui un camion lo investì in Svizzera. Il 7 dicembre dell'anno scorso il padre Gerardo, vista la rinuncia dei medici a proseguire le cure del figlio, lo ha caricato su un'ambulanza per portalo via da Lugano, di nascosto, e per ricoverarlo oltre il confine, a Brebbia (Varese), in una struttura riabilitativa, la Fondazione Borghi.

Il 13 ottobre del 2006 la Commisione di Etica dell’ospedale elvetico pubblica una dichiarazione in cui «si parla di "coma vigile dal maggio 2005", di grave infezione polmonare, "temperatura ascellare a 40,3°", "rantoli diffusi"... poi si specifica che "nonostante il margine di miglioramento estremamente ridotto vi è una costante richiesta da parte dei familiari affinché, in caso di complicanze, si adoperino tutti i mezzi terapeutici possibili. Ma la Commissione di Etica clinica si è espressa contro trattamenti ritenuti futili di medicina intensiva visto che non c'è possibilità di guarigione o di una qualità di vita accettabile. Ci asteniamo pertanto da misure di rianimazione...". [...] Può darsi, ammettiamo pure che così sia, ma chi è sicuro di una cosa o dell'altra? E perché si vuole impedire a questi due caparbi genitori di fare ciò che chiedono disperatamente da mesi, e cioè di non rimandare in Svizzera - nel Paese dove il suicidio assistito è legiferato e una Commissione "etica" nega il diritto alla cura - il loro ragazzo? Vogliono una cosa sola: portaselo a casa loro, ad Albizzate, per assisterlo con le proprie forze. Quale legge può impedire la più umana delle pratiche? Una vita sprecata, la sua? Nessuno può sentenziarlo. E in ogni caso chi può arrogarsi il diritto di vietare a due genitori di volerla accudire e proteggere nella sua fragilità, come avevano fatto 38 anni fa? [...] Impossibile non ripensare allo scempio per cui Terri Schiavo il 31 marzo del 2005 morì di fame e di sete perché un terzo giudicante - in quel caso un magistrato - aveva così deciso. Anche lì due genitori che non chiedevano che di portarsela a casa (L. Bellaspiga, Terri Schiavo da noi. Ma non può finire così, “Avvenire” 19 settembre 2007).

 
 
 
 

Città del Vaticano: la Congregazione per la dottrina della fede a proposito di “alimentazione e idratazione artificiali”

Settembre 2007. La Congregazione per la dottrina della fede ha reso noto un documento con due risposte ad altrettanti quesiti posti dalla Conferenza episcopale statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali nei malati in stato vegetativo. Riprendendo una posizione mai mutata del Magistero, il prefetto della Congregazione cardinale William Levada osserva che «la somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è pertanto obbligatoria», «nella misura in cui e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria». In secondo luogo il documento nega che nutrimento e idratazione forniti per vie artificiali possano essere interrotti quando medici competenti giudichino con certezza morale che il paziente non recupererà mai la coscienza: «Un paziente in stato vegetativo è una persona, con la sua dignità umana fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionali che comprendono la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali». Le risposte della Congregazione sono state approvate da papa Benedetto XVI.

«La domanda più incalzante diviene allora: che cosa è bene fare in queste circostanze? La sospensione della nutrizione orale o per vie diverse, quali quella nasogastrica o gastrostomica, non porrebbe fine a quell’inutile tormento che è una vita in cui il paziente non è più in grado di decidere nulla e che, invece, decide del tempo, delle energie e delle risorse di chi lo assiste a domicilio o in strutture sanitarie? Le indicazioni della Congregazione allargano l’orizzonte della risposta secondo l’ampiezza di una ragione che non è mero "calcolo" – per dirla con Heidegger – di costi e benefici, ma osa addentrarsi sui sentieri del bene» (R. Colombo, Nutrire i pazienti. Le umanissime ragioni, “Avvenire” 16 settembre 2007). La risposta della Congregazione ritiene che la somministrazione di cibo e acqua sia «in linea di principio» un mezzo ordinario e proporzionato. Ciò non esclude che possano verificarsi situazioni in cui proseguire alimentazione e idratazione potrebbe non essere opportuno, quando la morte è imminente e inevitabile.

 
 
 
 

Italia: finanziamenti per la ricerca bloccati

Settembre 2007. La notizia non è riservata, ma la conoscono solo gli addetti ai lavori: il bando per il finanziamento dei "Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale" (i cosiddetti Prin) - «principale fonte per il finanziamento della ricerca pubblica», secondo lo stesso ministro Fabio Mussi - è in ritardo di almeno sei mesi rispetto alle usuali scadenze. Annunciato dal Ministero in primavera, poi emanato il 18 luglio scorso, è stato bloccato dalla Corte dei Conti e tuttora non si conoscono con precisione disponibilità di fondi e data di pubblicazione. Non era mai successo prima, e chi fa ricerca in università conosce bene i gravissimi problemi che un ritardo simile comporta. Le proteste finora si sono fermate nei corridoi degli atenei, ma oramai è sotto gli occhi di tutti quello che denuncia il neurobiologo Angelo Vescovi: nel nostro Paese «il sistema ricerca è al collasso» (Notizia ripresa da “Avvenire” 19 settembre 2007).

La medicina che usa le cellule staminali adulte sta facendo passi da gigante, e i risultati raggiunti sono sotto gli occhi di tutti, nonostante le enormi difficoltà della ricerca in Italia. Se solo ci fossero fondi disponibili, «domattina, sì proprio domattina, sarebbe possibile iniziare la procedura per la sperimentazione sulla Sclerosi laterale amiotrofica e la Sclerosi multipla, da estendere successivamente ad altre malattie devastanti del cervello», denuncia Vescovi, che ha raggiunto ottimi risultati con i modelli animali. Ma i filoni della ricerca italiana che funziona sono davvero numerosi. Si pensi alla scoperta di staminali adulte nel rene umano - anche in questo caso i modelli animali ne hanno rivelato la capacità di riparare lesioni -, agli studi sulle cellule epiteliali, che permettono di ricostruire cornea e pelle, alla terapia genica tramite staminali adulte con cui per la prima volta al mondo è stata curata una grave patologia genetica della pelle, l'epidermolisi bollosa... Ricerche con risultati sorprendenti, già in via di applicazione, o con realistiche aspettative di ottenere successi concreti sull'uomo.
Perché allora non finanziare generosamente tutto questo, anziché inseguire una chimera?
(A. Morresi, L’ideologia uccide la ricerca, “Avvenire” 19 settembre 2007).

 
 
 
 

Italia: il ministro della sanità e le adozioni degli embrioni umani

Settembre 2007. «Possiamo pensare a rendere adottabili gli embrioni in esubero. E dicendolo spero di non suscitare scandali a sinistra». È la proposta del ministro della Salute Livia Turco in una intervista. «Io riconosco dignità umana all'embrione. Dunque ho l'obbligo di trovare una risposta a chi mi chiede conto del destino di questa vita potenziale. Offrirla in adozione è un gesto, forse puramente simbolico, che attesta una posizione chiara». «Quella di regalare ad altri un embrione che tu non puoi o non vuoi utilizzare mi sembra una buona idea, al di là della sua fattibilità reale: una donna che regala all'altra la possibilità di un figlio. È un gesto forte, e insieme un modo per stabilire un principio etico: non si possono manipolare, bisogna averne cura».

Riportiamo un commento di Marina Corradi: «Se anche il ministro riconosce dignità umana all'embrione; se afferma che è qualcosa non da manipolare, ma di cui “prendersi cura”, perché, più modestamente, non pensare a quelli vivi e vitali, nel grembo di madri che vanno a chiedere il certificato per abortire, e contrariamente a quanto stabilisce la legge non trovano quasi nessuno che «contribuisca a far superare le cause che potrebbero indurre all'interruzione di gravidanza»? (M. Corradi, Da quelle parole del ministro il principio di uno sguardo diverso, “Avvenire” 20 settembre 2007).

 
 
 
 

Italia: il tribunale di Cagliari e la diagnosi genetica pre-impianto

Settembre 2007. Due anni fa una donna aveva chiesto di poter eseguire la diagnosi preimpianto prima di procedere con le tecniche di fecondazione in vitro perché portatrice di talassemia, malattia molto diffusa in Sardegna. I medici avevano rifiutato come prescritto dalla legge 40/2004 e la donna aveva deciso di rivolgersi al tribunale di Cagliari che ora, dopo due anni, sottolinea come il diritto alla salute della madre ed il diritto ad essere informata garantiti dalla Costituzione prevalgono sul divieto di diagnosi prescritto dalla legge.
Dopo la decisione del giudice l’ospedale e il medico incaricato controlleranno lo stato dell’embrione, verificando se può essere colpito da talassemia. Solo nel caso in cui l’embrione sia sano il medico procederà all’impianto e alla gravidanza.

Secondo l’Associazione Scienza & Vita «la sentenza rappresenta un caso di eugenetica». Quanto affermato dall’Associazione emerge in tutta evidenza da una lettura attenta della legge 40, da cui si evince «il principio di destinazione alla nascita di ogni embrione generato in provetta». La legge prevede infatti l’obbligo di trasferire immediatamente tutti gli embrioni generati e il divieto di qualsiasi selezione-soppressione a scopo eugenetico. «Nel caso di Cagliari – osserva Scienza & Vita – la finalità eugenetica appare evidente. Non si comprende quindi come il tribunale possa motivare una scelta contra legem».
Infine l’Associazione afferma che «la pretesa di superare il problema della legittimità costituzionale della legge 40 non ha fondamento alcuno. Anzi, tale pretesa è in sé incostituzionale, tenendo conto dei precedenti pronunciamenti della Consulta in materia di tutela della vita del concepito».

 
 
 
     
 
 
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