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Associazione Thomas
International |
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Italia: ancora sul caso
Welby
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Giugno
2007. Mario Riccio, il medico anestesista di
Cremona che ha interrotto la ventilazione meccanica
a Piergiorgio Welby dopo averlo sedato, dovrebbe
essere processato per omicidio del consenziente.
È questo il senso del provvedimento assunto
dal gip di Roma Renato Laviola che ha respinto
per la seconda volta la richiesta di archiviazione
formulata dalla procura chiedendo l'imputazione
coatta. Nelle 7 pagine di motivazioni, il gip
osserva che la morte di Welby è stata causata
"da una sorta di eutanasia passiva" che si è
sostanziata "in un intervento attivo dell'anestesista
Mario Riccio", giunto apposta da Cremona a Roma.
E se esiste "il diritto al rifiuto delle cure",
in questo caso "non c'è stata mera omissione
di cure e trattamenti", ma una violazione del
"diritto alla vita" che se pure non codificato,
si fonda su norme che sanzionano l'omicidio
del consenziente e l'istigazione al suicidio.
Mario Riccio si è detto "sorpreso dalla decisione
del gip, ma pronto ad affrontare anche il carcere".
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Secondo
alcuni la decisione del gip sarebbe sbagliata,
perché la legge italiana (e il buon senso)
prevede che se un paziente (non ancora collegato
al dispositivo che potrebbe mantenerlo in vita)
rifiuta di esservi collegato, nessuno può
obbligarlo a farlo. Se lo stesso paziente accetta
di essere tenuto in vita da un macchinario e
poi, dopo un certo periodo di tempo, decide
di rinunciarvi, non ha senso impedirglielo.
A meno di non pensare che accettare una terapia
priva il paziente della possibilità di
cambiare idea e di esercitare la sua originaria
possibilità di rifiutarla. Con il rischio
che il paziente, i familiari e anche il medico
potrebbero essere indotti a non iniziare una
terapia, per esempio la ventilazione, solo per
il timore di non poterla più sospendere
quando le circostanze dovessero renderla inaccettabile.
Questi argomenti hanno una loro pertinenza,
ma tendono a semplificare l’effettiva
complessità del problema trascurandone
le numerose implicazioni. E infatti, vero è
che un paziente può rifiutare anche una
cura salvavita, ma è anche vero che,
accettandola, egli accetta di affidarsi alle
responsabilità del medico, che non può
essere trattato come un strumento passivo della
volontà del paziente. E mentre un medico
non può e non deve costringere un paziente
a curarsi, è anche vero che un paziente
non può e non deve costringere un medico
a compiere un atto che, in alcune circostanze,
si configura, come ha ritenuto il gip di Roma
nel caso Welby, come un “omicidio del
consenziente”. Poco importa che il medico
in questione, come qui Riccio, sia consenziente:
se fosse sufficiente questo a rendere legittima
l’interruzione della vita di un paziente,
infatti, dovremmo ritenere lecito anche il gesto
di un medico generico che fornisse un kit per
il suicidio assistito a un paziente depresso
che liberamente glielo chiede.
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Italia e Austria: diritti
"umani" agli animali?
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Aprile
2007. Hiasl è uno scimpanzé di
26 anni e vive a Vienna. Catturato nel 1983
in una foresta della Sierra Leone e destinato
a un laboratorio per ricerche mediche, per un
problema di documenti fu fermato alla dogana
e consegnato a una casa protetta per animali.
Dove è rimasto in pace fino a pochi mesi
fa, quando un’animalista anglo-austriaca,
temendo che Hiasl potesse finire nuovamente
in uno zoo o fra le mani di uno scienziato,
a causa della difficoltà dei suoi custodi
nel coprire le spese per cibo e veterinario,
ne ha chiesto l’affidamento legale. Poiché
però l’affidamento può riguardare
solamente persone vere e proprie, il tribunale
della città di Mödling ha dovuto
decidere se riconoscere o meno all’anzianotto
primate la condizione umana.
Il caso è stato seguito con curiosità
dai media fino in Giappone e in Nuova Zelanda,
mentre schiere di animalisti intravedevano la
possibilità di una sentenza dirompente:
la prima in cui fosse riconosciuta l’insussistenza
di una linea di divisione fra uomo e animale.
Speranza frustrata il 24 aprile dal giudice
Barbara Bart, che pur non pronunciandosi nettamente
sulla paraumanità di Hiasl, ha negato
l’affidamento.
Maggio
2007. Pietro Folena, deputato di Rifondazione
Comunista e presidente della commissione cultura
della Camera, ha organizzato un incontro a cui
hanno partecipato Tom Regan, nume di riferimento
insieme a Singer del movimento per la liberazione
animale, il giurista Stefano Rodotà,
il sottosegretario all’Economia e dirigente
dei Verdi Paolo Cento e il deputato dei Comunisti
Italiani e storico Nicola Tranfaglia. Tema della
tavola rotonda, la necessità di un nuovo
patto sociale in cui la difesa dei diritti umani
si accompagni a quella dei diritti animali.
E senza troppi sconti, sembrerebbe: dopo due
ore di dibattito, Enrico Moriconi, consigliere
dei Verdi per la regione Piemonte, sottolineava
il lungo cammino che resta ancora da percorrere,
perché se per molti può essere
«facile interessarsi ai diritti degli
animali di affezione», in Usa c’è
chi si è già mosso contro le violenze
«sulle aragoste gettate vive su una piastra
elettrica o immerse nell’acqua bollente»,
costringendo ristoranti e catene commerciali
a una significativa retromarcia (Notizie entrambe
riprese da A. Galli, Animali. Diritti riconosciuti
come per gli uomini? “Avvenire”
29 luglio 2007).
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L’ipotesi
che anche gli animali abbiano diritti è
molto discussa in bioetica, anche se si condivide
l’idea che gli esseri umani abbiano comunque
dei doveri nei confronti degli animali, primo
tra tutti quello di non infliggere loro sofferenze
ingiustificate. Non tutti sanno, per esempio,
dell’esistenza di una “Dichiarazione
universale dei diritti dell’animale”
dell’Unesco, che risale al 1978 e in cui
si stabilisce che «i diritti dell’animale
devono essere difesi dalla legge come i diritti
dell’uomo» e, fra le altre cose,
«che l’educazione deve insegnare
sin dall’infanzia a osservare, comprendere,
rispettare e amare gli animali». Tuttavia,
da ciò non si evince che i diritti degli
animali siano come quelli dell’uomo. Le
parole della Dichiarazione, piuttosto, esprimono
l’idea che anche i diritti degli animali
– nella loro peculiare specificità,
diversa da quella dei diritti umani –
devono trovare, come questi ultimi, una tutela
giuridica. Del resto, quando si vogliono equiparare
a tutti i costi i diritti umani a quelli animali
in realtà si arriva quasi sempre a un
rovesciamento che finisce per privilegiare gli
animali a spese dell’uomo. Significativi,
da questo punto di vista, alcuni passaggi del
programma di governo stilato dall’Unione,
dal titolo “Per il bene dell’Italia”.
Pur non spendendo una parola sul sacrificio
di embrioni umani a scopi scientifici, il programma
dell’Unione sottolinea che occorre «promuovere
e favorire la ricerca effettuata con metodi
alternativi all’utilizzo di animali e
progressivamente abolire la ricerca e la sperimentazione
che ne facciano uso» (p. 153).
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Italia: ancora sulle “maldestre”
applicazioni della legge 194/1978 |
Giugno
2007. All’ospedale San Paolo di Milano
una donna di 38 anni si è sottoposta
all’aborto volontario per interrompere
la gravidanza di uno dei due gemelli che portava
in grembo, affetto da sindrome di Down. Al termine
dell'intervento però si è scoperto
che era stato soppresso il feto sano e non quello
malato. Una notizia alla quale la donna ha reagito
scegliendo per un secondo aborto. L’errore
sarebbe avvenuto perché nel periodo tra
l’amniocentesi e l’interruzione
di gravidanza i due gemelli si sono scambiati
di posto. Questa l’autodifesa di Anna
Maria Marconi, la ginecologa che ha praticato
l'aborto selettivo. Secondo l'ultimo "Rapporto
Pit salute 2006" risultano in aumento i
sospetti errori per errata diagnosi prenatale
(12%, +9% delle segnalazioni rispetto al 2005).
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Riportiamo
il commento di Eugenia Roccella: «Se Tommaso
morto all’ospedale Careggi di Firenze
nel marzo 2007 dopo un aborto fallito non fosse
sopravvissuto, non se ne sarebbe parlato affatto;
e altrettanto sarebbe accaduto se la bimba eliminata
al San Paolo fosse stata effettivamente la piccola
Down. Ogni volta che un episodio del genere
viene alla luce, si riapre la polemica tra chi
è a favore di una legge sull'aborto e
chi no, e il dibattito etico si arroventa. Dopo
alcuni giorni, però, tutto torna come
prima, e una pesante coltre di silenzio e indifferenza
copre la terribile marcia che stiamo compiendo
verso la selezione genetica, travestita da libera
scelta dei genitori. In questo modo stiamo approdando
a risultati di pulizia etnica che nemmeno la
peggiore violenza razzista dei governi totalitari
è mai riuscita ad ottenere. Si scrivono
articoli politicamente corretti sull'accoglienza
nei confronti dei Down, si girano film emozionanti
con protagonisti diversamente abili, ma poi
si chiudono gli occhi di fronte alla realtà
di una pratica di selezione genetica diventata
ormai ordinaria routine (E. Roccella, Serve
un tagliando alla 194, “Avvenire”
29 agosto 2007).
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Italia: Giovanni
Nuvoli e Piergiorgio Welby |
Luglio
2007. Concessi i funerali religiosi a Giovanni
Nuvoli, 53 anni da sette ammalato di sclerosi
multipla amiotrofica, attaccato ad un respiratore
artificiale, lasciatosi morire rifiutando per
giorni acqua e cibo. Prosegue dopo la sua morte
nell’opinione pubblica il dibattito acceso
che ha accompagnato gli ultimi mesi di vita
di Nuvoli: qualcuno ha obiettato sulla decisione
della Chiesa di permettere le esequie religiose
che invece erano state negate nel dicembre scorso
ad un altro ammalato di uguale forma di sclerosi,
Piergiorgio Welby, deceduto dopo l’interruzione
da lui richiesta della ventilazione meccanica.
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Su
questo aspetto particolare della vicenda, Roberta
Gisotti ha raccolto il parere dell’arcivescovo
Elio Sgreccia, presidente della Pontificia Accademia
della vita:
«Sì, la concessione dei funerali
religiosi a chi si lascia morire o nel caso
che abbiamo in considerazione o in altri casi
simili o di suicidio, viene regolata dall’autorità
pastorale del luogo in base ad alcuni criteri:
quando c’è un’esplicita opposizione
alla fede cattolica, un dichiarato rifiuto dei
Sacramenti, è chiaro che non si può
dare il funerale religioso anche per rispettare
la volontà del paziente stesso, per non
imporre una religiosità per forza, dall’esterno.
Quando questo non risulta e ci sono situazioni
drammatiche, la Chiesa solitamente interpreta
in maniera benigna e concede il funerale religioso.
Io penso che in questo caso sia stato applicato
un criterio pastorale comprensivo, andando incontro
ad una situazione che è stata di lunga
sofferenza.
Quindi, noi dobbiamo ritenere che non solo è
pienamente legittimo ma accompagnarlo con la
nostra preghiera, perché le sofferenze
affrontate da questo nostro fratello siano state
incontrate dalla misericordia e dalla ricchezza
di grazia del nostro Signore Gesù Cristo,
Redentore di tutta l’umanità»
(www.fattisentire.net).
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Portogallo: obiezione
di coscienza e aborto in Portogallo |
Luglio
2007. Entra in vigore la legge sull’aborto,
grazie a cui qualsiasi donna portoghese –
entro la decima settimana di gestazione –
potrebbe presentarsi in un centro medico e chiedere
di mettere fine alla gravidanza senza altra
ragione della propria volontà. La pratica,
però, sarà molto più complessa.
Perché i medici obiettori - nel sistema
pubblico portoghese - sono migliaia. Il primo
passo della nuova legge fu il referendum dello
scorso febbraio, al quale partecipò meno
della metà degli elettori. "Vinse"
il sì (con il 59%), ma in realtà
la consulta terminò con il trionfo dell'astensione.
Il referendum non era vincolante. Nonostante
questo ambiguo risultato, il governo socialista
di José Socrates decise di andare avanti.
Il testo approvato dal Parlamento depenalizza
(e di fatto liberalizza) l'aborto entro le prime
dieci settimane. Finora, la norma del 1984 permetteva
l'interruzione volontaria di gravidanza solo
in tre casi: stupro, grave malformazione del
feto e rischio di morte per la madre. Al di
fuori di questi presupposti, erano previsti
fino a tre anni di carcere.
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A
questo punto, la frettolosa approvazione della
legge potrebbe scontrarsi con l'obiezione di
coscienza dei medici. Al sistema sanitario portoghese
– secondo la stampa locale – non
restano che due alternative. C'è chi
ipotizza il trasferimento di medici non obiettori
da un ospedale all'altro, a seconda delle esigenze.
Una soluzione quanto meno complicata. La seconda
possibilità è ricorrere alle cliniche
private, disposte a fare ciò che gli
ospedali pubblici rifiutano. Per ora sono solo
due gli istituti privati con tutti i permessi
per «lavorare» in Portogallo. Uno
dei due - come previsto da anni - è la
spagnola "Clinica dos Arcos" di Badajoz,
al confine fra i due Paesi iberici. Conosciuta
fra le portoghesi che andavano ad abortire nella
vicina Spagna, la clinica ora ha aperto una
filiale a Lisbona e ne prepara un'altra a Porto.
La sua direttrice, Yolanda Hernandez, ha detto
di essere in contatto con alcuni ospedali pubblici
nell'eventualità che questi non riuscissero
a rispondere alle richieste di aborti per l'obiezione
di coscienza dei medici o per le carenze di
strutture adeguate. Per non perdere tempo, la
"Clinica dos Arcos" ha già
fatto sapere anche i prezzi delle interruzioni
volontarie di gravidanza: da 375 a 475 euro
(M. Coricelli, Aborto in Portogallo:
dilagano gli obiettori, in “Avvenire”
13 luglio 2007).
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Messico: Amnesty
International apre le porte al “diritto”
di aborto |
Agosto
2007. Amnesty International, la più grande
associazione umanitaria del mondo (con 2,2 milioni
di aderenti), ha cambiato la propria politica
in tema di aborto includendo il sostegno alla
depenalizzazione dell’interruzione di
gravidanza e il «libero esercizio dei
diritti sessuali e riproduttivi» tra i
propri obiettivi «umanitari».
La decisione è stata ratificata dal “28°
Incontro del Comitato Internazionale di Amnesty
International”, svoltosi a Cocoyoc, in
Messico. Le motivazioni sono quelle "classiche":
i casi di stupro - o di "gravidanza forzata"
(forced pregnancy) secondo l'espressione coniata
dalla stessa Amnesty - e il fatto che secondo
l'Organizzazione mondiale della sanità
ogni anno 68.000 donne abortiscano in situazioni
sanitarie carenti (Notizia ripresa da www.vanthuanobservatory.org)
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A
giugno scorso, in un’intervista al “National
Catholic Register”, il cardinale Renato
Martino, presidente del Pontificio Consiglio
Giustizia e Pace, ha criticato la nuova direttiva
di Amnesty, affermando che con essa «Amnesty
International ha tradito la sua missione»
perché porta avanti un doppio standard
morale: da una parte si batte per l’abolizione
della pena di morte, mentre ora «condona
l’uccisione di un bambino non nato».
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Gran Bretagna:
via alla creazione di ibridi uomo-animale |
Settembre
2007. La Gran Bretagna, a differenza del resto
del mondo, ha dunque detto sì alla creazione
delle chimere: lo ha annunciato la Human Fertilisation
and Embryology Authority (Hfea). Per permettere
la creazione di questi ibridi, il nucleo di
una cellula umana viene inserito nell'ovocita
animale svuotato quasi completamente del suo
patrimonio genetico. Un portavoce della Hfea
ha giustificato la scelta sostenendo che le
varie consultazioni pubbliche avrebbero dimostrato
che «i cittadini sono favorevoli all'idea
della creazione di ibridi se questi potranno
spianare la strada della cura di malattie come
l'Alzheimer». Gli embrioni, assicurano
i ricercatori, saranno distrutti dopo quattordici
giorni, «dunque non c'è di che
preoccuparsi». Alcuni ricercatori del
settore hanno imputato il fallimento della possibilità
di ricavare cellule staminali da embrioni umani
clonati alla mancanza di disponibilità
di un numero sufficiente di ovociti umani: è
difficile convincere le donne a "donarli"
alla ricerca scientifica, vista la pesantezza
degli interventi cui dovrebbero essere sottoposte.
Da qui l'idea di utilizzare ovociti animali,
sostituendone il nucleo con quello ricavato
da cellule umane somatiche adulte: in questo
modo i 46 cromosomi del Dna della nuova entità
sono umani, ma il patrimonio genetico nella
sua interezza non lo è. Nell'ovocita,
infatti, si trovano i mitocondri, corpuscoli
determinanti per la vita cellulare, che hanno
all'interno un proprio patrimonio genetico.
Animale, in questo caso.
I geni in questa nuova entità sono quindi
per il 99.9% derivanti dall'uomo e per lo 0.1%
dall'animale.
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«Vedere
cosa succede». Secondo Augusto Pessina,
microbiologo all’Università di
Milano e presidente dell’Associazione
italiana di colture cellulari, è questo
l’unico motivo ipotizzabile per spiegare
esperimenti come quello che in Inghilterra presto
porterà alla creazione di embrioni ibridi
uomo-animale. Un modo di procedere che, sia
nel contenuto che nel metodo, di scientifico
sembra avere ben poco. Il problema della medicina
è di avere un modello che si avvicini
il più possibile a quello reale, tant’è
vero che una delle obiezioni mosse dagli animalisti
contro gli esperimenti sui topi è negarne
l’attendibilità scientifica, proprio
perché l’uomo è differente
dal topo. Nel caso degli ibridi, sostiene Pessina,
«mi chiedo come si possa pretendere di
studiare una patologia umana aggiungendo al
modello preso in considerazione qualcosa di
non umano. Dal punto di vista scientifico mi
sembra un controsenso. Ma ci sono ragioni anche
pratiche, perché, ad esempio, non si
sa quali interazioni si produrranno tra il Dna
umano e quello mitocondriale animale. Insomma,
biologicamente è un gran pasticcio, che
denota un modo di procedere irrazionale, motivato
solo dalla curiosità di vedere cosa succede».
E anche ammettendo che l'esperimento riesca,
cosa saranno queste nuove entità? Le
eventuali linee cellulari che poi se ne ricaverebbero
difficilmente potrebbero utilizzarsi nell'uomo,
poiché la presenza di materiale di origine
animale potrebbe attivare virus animali endogeni,
e quindi patologie incontrollabili. Il dialogo
fra i due "sistemi" diversi, come
spiega anche Angelo Vescovi, potrebbe non funzionare
affatto, e soprattutto non funzionare nella
ricerca su malattie neurologiche come Alzheimer
e Parkinson, caratterizzate proprio dalla alterazione
delle attività energetiche delle cellule
dei pazienti. E dunque anche per Vescovi tutto
il rumore sollevato attorno alla decisione della
Hfea «non ha nulla a che fare con la scienza
e i malati, ma con ben altri interessi, anche
economici». Diceva di brevetti già
depositati in tutto il mondo, in fiduciosa attesa
di sviluppi della ricerca. È noto, poi,
che le società biotech sono quotate in
Borsa, e che risentono assai positivamente di
certi annunci mediatici - come accadde negli
Usa alla società di Robert Lanza, che
dopo un annuncio a effetto sulle staminali embrionali
vide i suoi titoli crescere in un giorno del
400 per cento.
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Svizzera: coma
vigile e accanimento terapeutico: la vicenda di
Antonio Trotta |
Antonio
Trotta, 38 anni, è in coma vigile dall'estate
del 2005, dal giorno in cui un camion lo investì
in Svizzera. Il 7 dicembre dell'anno scorso
il padre Gerardo, vista la rinuncia dei medici
a proseguire le cure del figlio, lo ha caricato
su un'ambulanza per portalo via da Lugano, di
nascosto, e per ricoverarlo oltre il confine,
a Brebbia (Varese), in una struttura riabilitativa,
la Fondazione Borghi.
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Il
13 ottobre del 2006 la Commisione di Etica dell’ospedale
elvetico pubblica una dichiarazione in cui «si
parla di "coma vigile dal maggio 2005",
di grave infezione polmonare, "temperatura
ascellare a 40,3°", "rantoli diffusi"...
poi si specifica che "nonostante il margine
di miglioramento estremamente ridotto vi è
una costante richiesta da parte dei familiari
affinché, in caso di complicanze, si
adoperino tutti i mezzi terapeutici possibili.
Ma la Commissione di Etica clinica si è
espressa contro trattamenti ritenuti futili
di medicina intensiva visto che non c'è
possibilità di guarigione o di una qualità
di vita accettabile. Ci asteniamo pertanto da
misure di rianimazione...". [...] Può
darsi, ammettiamo pure che così sia,
ma chi è sicuro di una cosa o dell'altra?
E perché si vuole impedire a questi due
caparbi genitori di fare ciò che chiedono
disperatamente da mesi, e cioè di non
rimandare in Svizzera - nel Paese dove il suicidio
assistito è legiferato e una Commissione
"etica" nega il diritto alla cura
- il loro ragazzo? Vogliono una cosa sola: portaselo
a casa loro, ad Albizzate, per assisterlo con
le proprie forze. Quale legge può impedire
la più umana delle pratiche? Una vita
sprecata, la sua? Nessuno può sentenziarlo.
E in ogni caso chi può arrogarsi il diritto
di vietare a due genitori di volerla accudire
e proteggere nella sua fragilità, come
avevano fatto 38 anni fa? [...] Impossibile
non ripensare allo scempio per cui Terri Schiavo
il 31 marzo del 2005 morì di fame e di
sete perché un terzo giudicante - in
quel caso un magistrato - aveva così
deciso. Anche lì due genitori che non
chiedevano che di portarsela a casa (L.
Bellaspiga, Terri Schiavo da noi. Ma non può
finire così, “Avvenire” 19
settembre 2007).
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Città del
Vaticano: la Congregazione per la dottrina della
fede a proposito di “alimentazione e idratazione
artificiali” |
Settembre
2007. La Congregazione per la dottrina della
fede ha reso noto un documento con due risposte
ad altrettanti quesiti posti dalla Conferenza
episcopale statunitense circa l'alimentazione
e l'idratazione artificiali nei malati in stato
vegetativo. Riprendendo una posizione mai mutata
del Magistero, il prefetto della Congregazione
cardinale William Levada osserva che «la
somministrazione di cibo e acqua, anche per
vie artificiali, è in linea di principio
un mezzo ordinario e proporzionato di conservazione
della vita. Essa è pertanto obbligatoria»,
«nella misura in cui e fino a quando dimostra
di raggiungere la sua finalità propria».
In secondo luogo il documento nega che nutrimento
e idratazione forniti per vie artificiali possano
essere interrotti quando medici competenti giudichino
con certezza morale che il paziente non recupererà
mai la coscienza: «Un paziente in stato
vegetativo è una persona, con la sua
dignità umana fondamentale, alla quale
sono perciò dovute le cure ordinarie
e proporzionali che comprendono la somministrazione
di acqua e cibo, anche per vie artificiali».
Le risposte della Congregazione sono state approvate
da papa Benedetto XVI.
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«La
domanda più incalzante diviene allora:
che cosa è bene fare in queste circostanze?
La sospensione della nutrizione orale o per
vie diverse, quali quella nasogastrica o gastrostomica,
non porrebbe fine a quell’inutile tormento
che è una vita in cui il paziente non
è più in grado di decidere nulla
e che, invece, decide del tempo, delle energie
e delle risorse di chi lo assiste a domicilio
o in strutture sanitarie? Le indicazioni della
Congregazione allargano l’orizzonte della
risposta secondo l’ampiezza di una ragione
che non è mero "calcolo" –
per dirla con Heidegger – di costi e benefici,
ma osa addentrarsi sui sentieri del bene»
(R. Colombo, Nutrire i pazienti. Le umanissime
ragioni, “Avvenire” 16 settembre
2007). La risposta della Congregazione ritiene
che la somministrazione di cibo e acqua sia
«in linea di principio» un mezzo
ordinario e proporzionato. Ciò non esclude
che possano verificarsi situazioni in cui proseguire
alimentazione e idratazione potrebbe non essere
opportuno, quando la morte è imminente
e inevitabile.
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Italia: finanziamenti
per la ricerca bloccati |
Settembre
2007. La notizia non è riservata, ma
la conoscono solo gli addetti ai lavori: il
bando per il finanziamento dei "Progetti
di Ricerca di Interesse Nazionale" (i cosiddetti
Prin) - «principale fonte per il finanziamento
della ricerca pubblica», secondo lo stesso
ministro Fabio Mussi - è in ritardo di
almeno sei mesi rispetto alle usuali scadenze.
Annunciato dal Ministero in primavera, poi emanato
il 18 luglio scorso, è stato bloccato
dalla Corte dei Conti e tuttora non si conoscono
con precisione disponibilità di fondi
e data di pubblicazione. Non era mai successo
prima, e chi fa ricerca in università
conosce bene i gravissimi problemi che un ritardo
simile comporta. Le proteste finora si sono
fermate nei corridoi degli atenei, ma oramai
è sotto gli occhi di tutti quello che
denuncia il neurobiologo Angelo Vescovi: nel
nostro Paese «il sistema ricerca è
al collasso» (Notizia ripresa da “Avvenire”
19 settembre 2007).
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La
medicina che usa le cellule staminali adulte
sta facendo passi da gigante, e i risultati
raggiunti sono sotto gli occhi di tutti, nonostante
le enormi difficoltà della ricerca in
Italia. Se solo ci fossero fondi disponibili,
«domattina, sì proprio domattina,
sarebbe possibile iniziare la procedura per
la sperimentazione sulla Sclerosi laterale amiotrofica
e la Sclerosi multipla, da estendere successivamente
ad altre malattie devastanti del cervello»,
denuncia Vescovi, che ha raggiunto ottimi risultati
con i modelli animali. Ma i filoni della ricerca
italiana che funziona sono davvero numerosi.
Si pensi alla scoperta di staminali adulte nel
rene umano - anche in questo caso i modelli
animali ne hanno rivelato la capacità
di riparare lesioni -, agli studi sulle cellule
epiteliali, che permettono di ricostruire cornea
e pelle, alla terapia genica tramite staminali
adulte con cui per la prima volta al mondo è
stata curata una grave patologia genetica della
pelle, l'epidermolisi bollosa... Ricerche con
risultati sorprendenti, già in via di
applicazione, o con realistiche aspettative
di ottenere successi concreti sull'uomo.
Perché allora non finanziare generosamente
tutto questo, anziché inseguire una chimera?
(A. Morresi, L’ideologia uccide
la ricerca, “Avvenire” 19 settembre
2007).
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Italia: il ministro
della sanità e le adozioni degli embrioni
umani |
Settembre
2007. «Possiamo pensare a rendere adottabili
gli embrioni in esubero. E dicendolo spero di
non suscitare scandali a sinistra». È
la proposta del ministro della Salute Livia
Turco in una intervista. «Io riconosco
dignità umana all'embrione. Dunque ho
l'obbligo di trovare una risposta a chi mi chiede
conto del destino di questa vita potenziale.
Offrirla in adozione è un gesto, forse
puramente simbolico, che attesta una posizione
chiara». «Quella di regalare ad
altri un embrione che tu non puoi o non vuoi
utilizzare mi sembra una buona idea, al di là
della sua fattibilità reale: una donna
che regala all'altra la possibilità di
un figlio. È un gesto forte, e insieme
un modo per stabilire un principio etico: non
si possono manipolare, bisogna averne cura».
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Riportiamo
un commento di Marina Corradi: «Se anche
il ministro riconosce dignità umana all'embrione;
se afferma che è qualcosa non da manipolare,
ma di cui “prendersi cura”, perché,
più modestamente, non pensare a quelli
vivi e vitali, nel grembo di madri che vanno
a chiedere il certificato per abortire, e contrariamente
a quanto stabilisce la legge non trovano quasi
nessuno che «contribuisca a far superare
le cause che potrebbero indurre all'interruzione
di gravidanza»? (M. Corradi,
Da quelle parole del ministro il principio di
uno sguardo diverso, “Avvenire”
20 settembre 2007).
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Italia: il tribunale
di Cagliari e la diagnosi genetica pre-impianto
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Settembre
2007. Due anni fa una donna aveva chiesto di
poter eseguire la diagnosi preimpianto prima
di procedere con le tecniche di fecondazione
in vitro perché portatrice di talassemia,
malattia molto diffusa in Sardegna. I medici
avevano rifiutato come prescritto dalla legge
40/2004 e la donna aveva deciso di rivolgersi
al tribunale di Cagliari che ora, dopo due anni,
sottolinea come il diritto alla salute della
madre ed il diritto ad essere informata garantiti
dalla Costituzione prevalgono sul divieto di
diagnosi prescritto dalla legge.
Dopo la decisione del giudice l’ospedale
e il medico incaricato controlleranno lo stato
dell’embrione, verificando se può
essere colpito da talassemia. Solo nel caso
in cui l’embrione sia sano il medico procederà
all’impianto e alla gravidanza.
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Secondo
l’Associazione Scienza & Vita «la
sentenza rappresenta un caso di eugenetica».
Quanto affermato dall’Associazione emerge
in tutta evidenza da una lettura attenta della
legge 40, da cui si evince «il principio
di destinazione alla nascita di ogni embrione
generato in provetta». La legge prevede
infatti l’obbligo di trasferire immediatamente
tutti gli embrioni generati e il divieto di
qualsiasi selezione-soppressione a scopo eugenetico.
«Nel caso di Cagliari – osserva
Scienza & Vita – la finalità
eugenetica appare evidente. Non si comprende
quindi come il tribunale possa motivare una
scelta contra legem».
Infine l’Associazione afferma che «la
pretesa di superare il problema della legittimità
costituzionale della legge 40 non ha fondamento
alcuno. Anzi, tale pretesa è in sé
incostituzionale, tenendo conto dei precedenti
pronunciamenti della Consulta in materia di
tutela della vita del concepito».
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