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Recensioni:
V.
Possenti, Il principio persona, Armando, Roma 2006,
pp. 256
È opinione diffusa che
il personalismo indichi non tanto un corpo dottrinale
quanto una sensibilità e un metodo di approccio a
questioni teologiche, antropologiche ed etico-politiche.
In effetti, se si scorrono le principali pubblicazioni
riconducibili ad autori e studiosi “personalisti”, si
vedrà come il personalismo è più praticato che
teorizzato. Paul Ricœur si è fatto interprete di questa
sensibilità personalista pur nella consapevolezza dei
suoi limiti concettuali, affermando che se il
personalismo come corrente filosofica è morto perché
«non è stato così competitivo da vincere la battaglia
del concetto», ritorna però la persona come «miglior
candidato per sostenere le lotte sociali e giuridiche in
difesa dei diritti umani». Non a caso Vittorio Possenti,
nel titolare la sua ultima fatica, non mette al centro
il personalismo ma appunto la persona, confermando la
sua opzione realistica, secondo cui il primato
appartiene sempre alla res (appunto la persona
stessa) prima che al pensiero che la riflette (il
personalismo come teoria filosofica). E tuttavia non si
può negare che nel volume di Possenti vi sia anche un
tentativo di riprendere quella che Ricœur ha chiamato
«la battaglia del concetto», come dimostra la Parte
Prima del testo, intitolata significativamente “Metafisica
della persona”. Discutendo la tesi lockiana secondo
cui «senza coscienza non vi è persona», Possenti giunge
alla tesi che «senza persona non c’è coscienza» (pp.
31-32), ripensando una serie di questioni di grande
spessore ontologico e metafisico, come il concetto di
sostanza, di individualità, di relazione ecc. La
conclusione, ricavata dalle suggestioni teologiche che
hanno inaugurato la riflessione sul concetto di persona,
è che l’umanità della persona, benché sia sostanza
individuale, possa realizzarsi compiutamente solo
attraverso la relazione con altre persone (p. 83).
Nella Parte
Seconda, intitolata “Problemi del presente I. Dalla
filosofia della persona alla bioetica”, Possenti si
incarica di saggiare la forza del “principio-persona”
attraverso le sfide che provengono dalla scienza e dalla
tecnica, nella consapevolezza che, purtroppo, spesso
«l’urgenza di trovare soluzioni ai dilemmi suscitati dal
progredire delle tecnologie [...] ha il suo peso
nell’indirizzare verso elaborazioni precipitose» (pp.
122-123). Questa constatazione spiega la scelta di
un’analisi come quella sviluppata nella Parte Prima
del saggio, ovvero di un’analisi del concetto di persona
che sia indipendente dai problemi pratici che richiedono
l’applicazione di tale concetto. E infatti, solo una volta
che si sia acquisita una determinazione sostanziale della
persona si potrà riconoscerne l’esistenza anche
nelle sue forme più fragili (all’inizio della vita) e
promuoverne l’essenza anche di fronte alle
manipolazioni più insidiose (ingegneria genetica).
Polemizzando con le correnti liberal-radicali in bioetica,
Possenti scrive: «L’uomo è la misura di tutte le cose,
osservava Protagora. La Tecnica sembra completare così il
suo detto: “l’uomo è la misura di tutte le cose, compreso
se stesso”. Ma appunto al prezzo di considerarsi una cosa,
è necessario aggiungere» (p. 114).
Nella Parte
Terza (Problemi del presente II. Il personalismo,
la pace, la democrazia), infine, Possenti mette alla
prova il “principio-persona” a livello sociale e politico,
analizzando i grandi problemi della guerra e della
democrazia. Per quanto riguarda la prima, dopo aver
riconosciuto che la principale difficoltà di una
riflessione sulla guerra è quella di dover «maneggiare
concettualmente una questione dal numero pressoché
illimitato di variabili» (p. 173), Possenti ritiene che la
guerra non sia un destino antropologico ma un fatto
storicamente evitabile. E poiché lo scopo
dell’eliminazione della guerra è la pace ma la pace è
sempre opus justitiae e non mera assenza di guerra,
si presenta il problema della “guerra giusta”. Mettendo
subito le cose in chiaro, Possenti precisa che la dottrina
classica della “guerra giusta” «dovrebbe più esattamente
essere chiamata dottrina della “giusta difesa”» (p. 197).
Come scrive infatti Manfred Spieker: «La preoccupazione
principale della dottrina del bellum iustum non è
tanto quella di legittimare l’impiego militare delle armi,
cosa che da più parti le viene attribuita, quanto quella
di assicurare la pace o di impedire la guerra e, qualora
questa non fosse evitabile, di limitarla» (cit. a p. 198).
Dopo aver ripreso la celebre idea di Ernst Wolfgang
Böckenforde secondo cui uno stato democratico riposa su
fondamenti che non può garantire, Possenti rincara la dose
ricordando come la democrazia, in fondo, «sconti un certo
pessimismo sull’uomo. Lo mostra la conquista stessa del
suffragio universale, tra le cui ragioni c’è l’esperienza
ininterrotta e universale che il governo elitistico o
aristocratico non si cura del popolo che in misura assai
ridotta» (p. 221). Possenti conclude la sua indagine
auspicando l’esportazione non tanto della democrazia ma
del fondamento che ne ha giustificato il diffondersi e la
popolarità, e cioè il rispetto per la dignità di ogni
singola persona umana, non individualisticamente
considerata, ma nel suo rapporto di solidarietà e di
condivisione con tutte le altre persone.
Luciano Sesta |
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