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ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 4 - Settembre 2007 
     
 

Recensioni:

V. Possenti, Il principio persona, Armando, Roma 2006, pp. 256

 

 

È opinione diffusa che il personalismo indichi non tanto un corpo dottrinale quanto una sensibilità e un metodo di approccio a questioni teologiche, antropologiche ed etico-politiche. In effetti, se si scorrono le principali pubblicazioni riconducibili ad autori e studiosi “personalisti”, si vedrà come il personalismo è più praticato che teorizzato. Paul Ricœur si è fatto interprete di questa sensibilità personalista pur nella consapevolezza dei suoi limiti concettuali, affermando che se il personalismo come corrente filosofica è morto perché «non è stato così competitivo da vincere la battaglia del concetto», ritorna però la persona come «miglior candidato per sostenere le lotte sociali e giuridiche in difesa dei diritti umani». Non a caso Vittorio Possenti, nel titolare la sua ultima fatica, non mette al centro il personalismo ma appunto la persona, confermando la sua opzione realistica, secondo cui il primato appartiene sempre alla res (appunto la persona stessa) prima che al pensiero che la riflette (il personalismo come teoria filosofica). E tuttavia non si può negare che nel volume di Possenti vi sia anche un tentativo di riprendere quella che Ricœur ha chiamato «la battaglia del concetto», come dimostra la Parte Prima del testo, intitolata significativamente “Metafisica della persona”. Discutendo la tesi lockiana secondo cui «senza coscienza non vi è persona», Possenti giunge alla tesi che «senza persona non c’è coscienza» (pp. 31-32), ripensando una serie di questioni di grande spessore ontologico e metafisico, come il concetto di sostanza, di individualità, di relazione ecc. La conclusione, ricavata dalle suggestioni teologiche che hanno inaugurato la riflessione sul concetto di persona, è che l’umanità della persona, benché sia sostanza individuale, possa realizzarsi compiutamente solo attraverso la relazione con altre persone (p. 83).   

            Nella Parte Seconda, intitolata “Problemi del presente I. Dalla filosofia della persona alla bioetica”, Possenti si incarica di saggiare la forza del “principio-persona” attraverso le sfide che provengono dalla scienza e dalla tecnica, nella consapevolezza che, purtroppo, spesso «l’urgenza di trovare soluzioni ai dilemmi suscitati dal progredire delle tecnologie [...] ha il suo peso nell’indirizzare verso elaborazioni precipitose» (pp. 122-123). Questa constatazione spiega la scelta di un’analisi come quella sviluppata nella Parte Prima del saggio, ovvero di un’analisi del concetto di persona che sia indipendente dai problemi pratici che richiedono l’applicazione di tale concetto. E infatti, solo una volta che si sia acquisita una determinazione sostanziale della persona si potrà riconoscerne l’esistenza anche nelle sue forme più fragili (all’inizio della vita) e promuoverne l’essenza anche di fronte alle manipolazioni più insidiose (ingegneria genetica). Polemizzando con le correnti liberal-radicali in bioetica, Possenti scrive: «L’uomo è la misura di tutte le cose, osservava Protagora. La Tecnica sembra completare così il suo detto: “l’uomo è la misura di tutte le cose, compreso se stesso”. Ma appunto al prezzo di considerarsi una cosa, è necessario aggiungere» (p. 114).

            Nella Parte Terza (Problemi del presente II. Il personalismo, la pace, la democrazia), infine, Possenti mette alla prova il “principio-persona” a livello sociale e politico, analizzando i grandi problemi della guerra e della democrazia. Per quanto riguarda la prima, dopo aver riconosciuto che la principale difficoltà di una riflessione sulla guerra è quella di dover «maneggiare concettualmente una questione dal numero pressoché illimitato di variabili» (p. 173), Possenti ritiene che la guerra non sia un destino antropologico ma un fatto storicamente evitabile. E poiché lo scopo dell’eliminazione della guerra è la pace ma la pace è sempre opus justitiae e non mera assenza di guerra, si presenta il problema della “guerra giusta”. Mettendo subito le cose in chiaro, Possenti precisa che la dottrina classica della “guerra giusta” «dovrebbe più esattamente essere chiamata dottrina della “giusta difesa”» (p. 197). Come scrive infatti Manfred Spieker: «La preoccupazione principale della dottrina del bellum iustum non è tanto quella di legittimare l’impiego militare delle armi, cosa che da più parti le viene attribuita, quanto quella di assicurare la pace o di impedire la guerra e, qualora questa non fosse evitabile, di limitarla» (cit. a p. 198). Dopo aver ripreso la celebre idea di Ernst Wolfgang Böckenforde secondo cui uno stato democratico riposa su fondamenti che non può garantire, Possenti rincara la dose ricordando come la democrazia, in fondo, «sconti un certo pessimismo sull’uomo. Lo mostra la conquista stessa del suffragio universale, tra le cui ragioni c’è l’esperienza ininterrotta e universale che il governo elitistico o aristocratico non si cura del popolo che in misura assai ridotta» (p. 221). Possenti conclude la sua indagine auspicando l’esportazione non tanto della democrazia ma del fondamento che ne ha giustificato il diffondersi e la popolarità, e cioè il rispetto per la dignità di ogni singola persona umana, non individualisticamente considerata, ma nel suo rapporto di solidarietà e di condivisione con tutte le altre persone.

 

 

Luciano Sesta

 
     
     
 
 
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