La legge umana deve essere posta in termini universali
piuttosto che in termini
particolari?
Circa il primo punto
procediamo così: Sembra che la legge umana non
debba esse posta in termini universali, ma piuttosto in
termini particolari. Dice infatti il Filosofo, nel quinto
libro dell’Etica Nicomachea (c.7), che
«appartengono al campo della legge tutte le cose che sono
posti dalla legge in termini singolari, e anche le
sentenze», che sono pure singolari, perché riguardano atti
singolari. Dunque la legge non va posta solo in termini
universali, ma anche in termini singolari.
2. Inoltre, la legge
guida gli atti umani, come è stato detto (q. 90, aa. 1,
2). Ma gli atti umani sono fatti singolari. Dunque le
leggi umane non debbono essere poste in termini
universali, ma piuttosto in termini singolari.
3. Inoltre, la legge
è regola e misura degli atti umani, come sopra è stato
detto (ibidem). Ma la misura deve essere certa in
massimo grado, come viene detto nel decimo libro della
Metafisica (c.1). Poiché negli atti umani non può
esservi nulla di universalmente certo, così da non patire
eccezioni nei casi particolari, sembra essere necessario
che leggi siano poste non in universale, ma in termini
singolari.
Ma di contro vi è ciò che l’esperto di diritto dice
(Digesto I): «è necessario che le leggi siano
costituite in rapporto a quanto avviene di frequente: a
partire da quelle cose che possono accadere in un caso
singolo, le leggi non vengono stabilite»
Rispondo dicendo che, ciascuna cosa che è ordinata
ad un fine, è necessario che sia a questo fine
proporzionata. Ora, il fine della legge è il bene comune,
perché, come dice Isidoro nel secondo libro delle
Etimologie (c. 10): «per nessuna privata utilità, ma
per la comune utilità dei cittadini, la legge deve essere
scritta». Conseguentemente è necessario che la legge si
riferisca a molte cose, sia rispetto alle persone, sia
rispetto alle attività, sia rispetto ai tempi. Infatti la
comunità di uno stato consta di molte persone e attraverso
azioni molteplici si ottiene il suo bene; e tale comunità
non viene istituita per durare per breve tempo, ma per
durare in ogni tempo attraverso il susseguirsi dei
cittadini, come dice Agostino, nel De Civitate Dei
(22, c. 6).
Risposta al primo argomento: il Filosofo nel quinto
libro dell’Etica Nicomachea (loco cit.) pone tre
parti del giusto legale o diritto positivo. Ci sono
infatti delle disposizioni che sono poste in termini
universali. E queste sono le leggi comuni. E in proposito
egli dice che «è legale ciò che all’inizio non fa
differenza se è una maniera o in un’altra, ma una volta
stabilito, fa differenza»: per esempio la norma che gli
schiavi siano liberati per un dato prezzo. – Ci sono
invece certe disposizioni che sono comuni sotto un aspetto
e particolari sotto un altro. E tali sono i privilegi
che sono come leggi private: si riferiscono a
persone particolari e tuttavia il loro potere si estende a
molteplici affari. E rispetto a questo il Filosofo
accenna: «oltre a ciò ci sono le cose regolate dalle legge
nei casi singoli». – Ci sono anche delle disposizioni che
si dicono legali, non perché siano leggi, ma perché
applicazioni delle leggi comuni a casi particolari; come
lo sono le sentenze, considerate come norme del diritto. E
riguardo a questo egli fa un cenno «alle cose che
riguardano le sentenze».
Risposta al secondo argomento: ciò che fatto per
dirigere è necessario che diriga una molteplicità di cose;
conseguentemente nel decimo libro della Metafisica
(c. 1), il Filosofo dice che tutte le cose che
appartengono ad un solo genere sono misurate da quell’unica
cosa che è prima in quel genere. Se infatti ci fossero
tante regole o misure quante sono le cose regolate e
misurate, cesserebbe l’utilità della regola o misura, che
consiste nel poter conoscere più cose attraverso una sola.
E quindi la legge non avrebbe alcuna utilità, se non si
estendesse che a un singolo atto. Infatti per dirigere
atti singoli ci sono i singoli precetti dei prudenti: ma
la legge è «precetto comune», come è stato detto sopra (q.
92, a. 2, arg.1).
Risposta al terzo argomento: «non si deve cercare
in tutte le cose la medesima certezza», come nel primo
libro dell’Etica Nicomachea (c. 3) viene detto.
Conseguentemente nelle cose contingenti, quali sono i
fenomeni naturali e le cose umane, è sufficiente una
certezza tale che qualcosa sia vera nella maggior parte
dei casi, sebbene ci siano delle eccezioni. |