La legge antica era buona?
Circa il primo punto
procediamo così: Sembra che la legge antica non
fosse buona. Dice infatti Ezechiele (20, 25): «Diedi loro
precetti non buoni e giudizi dai quali non avranno la
vita». Ma la legge non si dice buon se non per la bontà
dei precetti che contiene. Dunque, la legge antica non era
buona.
2. Inoltre, alla
bontà della legge appartiene l’essere di giovamento per la
pubblica utilità, come dice Isidoro (2 Etymol., c.
10; 5, c. 21). Ma la legge antica non provvedeva alla
salvezza, ma era piuttosto mortifera e nociva. Dice
infatti l’Apostolo, nella Lettera ai Romani (7, 8
e ss.): «Senza la legge il peccato era morto. Io vivevo
senza legge una volta: ma quando sopraggiunse il comando
il peccato riprese vita e io morii». E ancora (5, 20): «La
legge sopraggiunse perché abbondasse il delitto». Dunque,
la legge antica non era buona.
3. Inoltre, fa parte
della bontà della legge che sia possibile osservarla, sia
secondo natura, sia secondo l’umana consuetudine: ma la
legge antica non aveva queste caratteristiche; dice
infatti Pietro negli Atti degli Apostoli (15,
10):«Perché tentate di imporre sul collo dei discepoli un
giogo, che né noi, né i nostri padri abbiamo potuto
portare?». Dunque, sembra che la legge antica non sia
stata buona.
Ma di contro vi è ciò che l’Apostolo dice nella
Lettera ai Romani (7, 12): «Così la legge è santa e il
suo comando è santo, giusto e buono».
Rispondo dicendo che senza alcun dubbio la legge
antica era buona. Come infatti una dottrina mostra di
essere vera concordando con la retta ragione, così anche
una legge mostra di essere vera concordando con la ragione.
Ora la legge antica concordava con la ragione. Poiché
reprimeva la concupiscenza [concupiscentiam],
che è contraria alla ragione, come emerge da precetto
posto nel libro dell’Esodo (20, 15): «Non desiderare
[concupisces] la roba del tuo prossimo». Inoltre
essa proibiva tutti i peccati, che sono contro la ragione.
Di conseguenza è chiaro che era buona. E questo argomento
è svolto anche dall’Apostolo nella Lettera ai Romani
(7, 22): «Mi diletto» dice «della legge di Dio nel
mio intimo», oppure (16) «Concordo con la legge, perché
riconosco che è buona». Ma occorre notare che il
buono ha diversi gradi, come Dionigi dice (De Div.
Nom. 4, 16): c’è un bene perfetto e un bene imperfetto.
Perfetta è la bontà in quelle cose che sono ordinate
al fine, quando c’è qualcosa che è tale da essere per
sé sufficiente a raggiungere il fine; imperfetto è invece
il bene che in qualche modo contribuisce a che il fine
sia conseguito, tuttavia non basta da solo a raggiungere
il fine. Così una medicina perfetta buona è quella che
guarisce l’uomo, imperfetta è invece quella che aiuta
l’uomo, ma tuttavia non può guarirlo. Ora si deve anche
sapere che il fine della legge umana è diverso dal fine
della legge divina. Infatti il fine della legge umana
è la tranquillità temporale dello stato e a questo fine
la legge perviene reprimendo gli atti esterni, come
mali che potrebbero portare turbamento alla pace dello
stato. Invece, il fine della legge divina è condurre
gli uomini a quel fine che è la felicità eterna; e il
raggiungimento di codesto fine può certamente essere
impedito da qualsiasi peccato, e non solo dagli atti
esterni, ma anche da quelli interni. E perciò quello
che è sufficiente per la perfezione della legge umana
– come cioò proibire i peccati e comminare le pene –
non è sufficiente per la perfezione della legge divina:
è necessario che essa rende l’uomo totalmente idoneo
a partecipare della felicità eterna. E questo non può
avvenire che mediante la grazia dello Spirito Santo,
attraverso la quale «la carità si diffonde nei nostri
cuori» (Ad Rom. 5, 5). E la carità adempie la
legge: «dalla grazia di Dio» infatti «la vita eterna»,
come si dice nella Lettera ai Romani (6, 23).
Ora la legge antica non poteva conferire la grazia,
cosa che era riservata a Cristo, perché come dice Giovanni
nel suo Vangelo (1, 17), «La legge fu data attraverso
Mosè; la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù
Cristo». E perciò la legge antica è certamente buona,
ma imperfetta, secondo quanto si legge nella Lettera
agli Ebrei (7, 19) «la legge non ha portato nulla
a perfezione».
Risposta al primo argomento: il Signore parla qui
dei precetti cerimoniali, questi sono detti non buoni
perché non conferivano la grazia, attraverso la quale gli
uomini sono mondati dal peccato, sebbene in tal modo
manifestano il loro essere peccatori. Di conseguenza
chiaramente si dice: «e giudizi dai quali non avranno la
vita», cioè dai quali non possono ottenere la vita della
grazia; e dopo si aggiunge: «Li lasciai contaminarsi con
le loro oblazioni», cioè mostrai che erano contaminati,
«quando offrivano i primogeniti per i loro peccati».
Risposta al secondo argomento: si dice che la legge
uccideva non certamente in modo effettivo, ma come
occasione, a causa della sua imperfezione: nella misura in
cui, cioè, non conferiva la grazia, attraverso la quale
gli uomini avrebbero potuto adempiere quello che
comandava, o evitare quello che essa vietava. Quindi
questa occasione non era data, ma presa dagli uomini. Di
conseguenza anche l’Apostolo nello stesso luogo dice: «Il
peccato, presa occasione dal precetto, mi sedusse, e
attraverso esso mi uccise». – E per questa ragione si dice
anche che «la legge subentrò, sì che [ut] abbondò
il delitto», dove il valore dell’ ‘ut’ va considerato
consecutivo, non causale; in quanto cioè gli uomini
prendendo occasione dalla legge, peccarono più
abbondantemente; sia perché il peccato divenne più grave
dopo la proibizione della legge, sia anche perché crebbe
la concupiscenza, infatti desideriamo [concupiscimus]
di più ciò che è ci viene proibito.
Risposta al terzo argomento: non era possibile
portare il giogo della legge senza l’aiuto della grazia,
la legge non dava; si dice infatti nella Lettera ai
Romani (9, 16), «non è di chi vuole né di chi corre»
volere e correre nei precetti di Dio, «ma è opera della
misericordia di Dio». Di conseguenza, anche nel Salmo
118 (32) si dice: «La via dei tuoi precetti ho corso,
quando tu hai dilatato il mio cuore», cioè attraverso il
dono della grazia e della carità. |