Tutti i precetti morali
della legge antica rientrano nella legge naturale?
Circa il primo punto procediamo così. Sembra che
non tutti i precetti morali della legge antica rientrino
nella legge naturale. Dice infatti il Siracide (17,
9): «Diede inoltre loro una disciplina e fece loro
ereditare una legge di vita». Ma la disciplina è il
contrario della legge naturale, perché la legge naturale
non si impara ma si ha per istinto naturale dunque non
tutti i precetti morali della legge antica rientrano nella
legge naturale.
2. Inoltre, la legge
divina è più perfetta di quella umana. Ma la legge umana
aggiunge alcune cose ai buoni costumi che riguardano le
disposizioni della legge di natura. E ciò emerge dal fatto
che la legge di natura è la stessa presso tutti gli
uomini, mentre tali determinazioni dei costumi sono
diverse presso i diversi popoli. Dunque, molto di più la
legge divina deve aggiungere rispetto alla legge naturale
alcune cose ai buoni costumi.
3. Inoltre, così
come la ragione naturale induce ai buoni costumi, così
anche la fede; e perciò si dice nella Lettera ai
Galati (5, 6): «la fede opera per mezzo della carità».
Ma la fede non rientra nella legge naturale, perché le
cose di fede superano la ragione naturale. Dunque, non
tutti i precetti morali della legge antica rientrano nella
legge naturale.
Ma di contro vi è ciò che l’Apostolo dice nella
Lettera ai Romani (2, 14): « i Gentili, che non hanno
legge, per natura fanno quelle cose che sono della legge».
Rispondo dicendo che i precetti morali, distinti
da quelli cerimoniali e da quelli giudiziali, hanno
per oggetto quelle cose che in se stesse riguardano
i buoni costumi. Ora, poiché i costumi umani sono giudicati
in rapporto alla ragione, che è il principio proprio
degli atti umani, sono detti buoni quei costumi che
concordano con la ragione, cattivi, invece, quelli che
discordano da essa. Ma come ogni giudizio della ragione
speculativa procede dalla naturale conoscenza dei principi
primi, così anche ogni giudizio della ragione pratica
procede da quei principi che sono conosciuti naturalmente
(q. 94, aa. 2, 4), come sopra è stato detto. E da questi,
però, procede in vari modi nel giudicare cose diverse.
Ci sono infatti tra gli atti umani delle cose talmente
esplicite che subito, con una piccola riflessione, si
possono approvare o disapprovare in base a qui tali
principi primi e universali. Ci sono invece altre cose
che richiedono un’ampia riflessione nelle diverse circostanze
e una attenta considerazione di queste cose non è propria
di chiunque, ma del sapiente: così considerare le particolari
conclusioni delle scienze non è propria di tutti, ma
solo dei filosofi. Ci sono poi delle cose per giudicare
le quali l’uomo ha bisogno di essere aiutato dagli insegnamenti
divini: così avviene per le cose della fede.
Se dunque emerge che, siccome i precetti morali vertono
sulle cose che riguardano i buoni costumi, queste cose
sono quelle che concordano con la ragione. Ora, ogni
giudizio della ragione umana deriva in qualche modo
dalla ragione naturale: è necessario che tutti i precetti
morali appartengano alla legge di natura ma in maniera
diversa. Infatti ci sono alcune cose che subito per
se stesse la ragione naturale di qualsiasi uomo riconosce
come da farsi o da non farsi, come ad esempio «onora
tuo padre e tua madre» e «non uccidere, non rubare»
(Es. 20, 12, 13, 15; Deut. 5, 16, 17,
19). E tali precetti appartengono in senso assoluto
alla legge naturale. – Ci sono invece altre cose che
con una più sottile considerazione razionale i sapienti
giudicano come da osservarsi. E questi precetti, pur
essendo di legge naturale, hanno tuttavia bisogno di
una disciplina, con la quale i più giovani siano istruiti
dai più sapienti, secondo l’espressione: «Davanti a
un capo canuto alzati in piedi e onora la persona del
vecchio» (Levit. 19, 32) e altre simili. – Ci
sono invece altre cose per giudicare le quali la ragione
umana ha bisogno degli insegnamenti divini che istruiscano
sulle cose divine, come: «Non ti farai scultura né immagine
alcuna»; «Non userai invano il nome del tuo Dio» (Es.
20, 4, 7; Deut. 5, 8, 11). E in questo modo emerge
la risposta alle obiezioni.
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