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ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 6 - Maggio 2008 
     
 

 Editoriale

Famiglia e unioni di fatto:

quando il gossip e la volgarità investono anche la storia e la cultura

 

L’universo massmediatico di oggi vive sempre più di gossip, di curiosità morbose, di sensazionalismi e di giudizi sommari e superficiali. Non a caso, ci sono giornalisti, politici, ex magistrati e comici che ne hanno fatto un mestiere a sé. Essi sanno che ad abbaiare contro gli avversari e a dire parolacce in pubblico si guadagnano sempre un certo successo, un qualche consenso e molti, molti soldi. E quando ci sono di mezzo i soldi, la dignità e la verità si lasciano facilmente dietro le spalle.

Ma poi a chi importa della dignità, della nobiltà d’animo, dell’onestà intellettuale? La gente della nostra società si sente poca cosa, e non aspetta altro che si dica in pubblico quanto deboli e cattivi siano anche tutti gli altri. I santi sono subdole invenzioni giornalistiche del Vaticano. Se non si hanno foto di Madre Teresa ai casinò e di Giovanni Paolo II nei quartieri a luci rosse è solo perché nessuno era lì, al momento giusto, a scattarle. Il gossip, il dubbio morboso e le volgarità fanno da pendant alla mancanza di autostima dell’uomo di oggi. Il giornalismo, il cinema, la televisione e internet, come la borsa, tirano l’uomo al ribasso. E in questo gioco al ribasso bisogna ora mettere dentro anche la storia, la famiglia e la Chiesa.

Il motivo, in fondo, è semplice. L’ideale di famiglia iscritto nel Cattolicesimo è molto alto: tratta l’uomo e la donna come esseri capaci di grandi virtù, di sacrificio di sé, di promesse solenni di fedeltà “nella buona e nella cattiva sorte, finché morte non ci separi”. L’uomo di oggi, infedele e meschino, aspirante al grande fratello e ai posti di velina, pronto a prostituirsi fisicamente o intellettualmente pur di guadagnare qualche soldo in più… quest’uomo non può che avere in odio gli ideali del matrimonio e della famiglia perché se questi sono veri, allora è lui ad essere falso, e non è vero che tutti sono bassi e meschini come lui. È in quest’ottica che si può forse capire (ma non giustificare) la pagina culturale scandalo del Corriere della Sera di giovedì 5 giugno 2008, intitolata “Unioni di fatto, la storia di sempre”.

Qui, Sergio Luzzatto, riferendosi – quasi come fossero testi sacri – ad alcuni recenti pseudo libri di storia, si lancia in una sua invettiva senza frontiere contro «i sermoni vaticani sul matrimonio», la «propaganda bigotta dei Family Days» e la «favola di un bel tempo andato in cui la famiglia era un’istituzione armoniosa, stabile e coesa […] come Dio comanda». Vuole finalmente dirci la verità il buon Luzzatto: cioè, che la famiglia, come ne parla la dottrina cattolica, non è mai esistita, che la regola è data dai rapporti di fatto, e che perfino la maggior parte dei preti ha sempre avuto le sue scappatelle. Fino alla Controriforma, ci dice, «maestri del concubinato erano i sacerdoti». E in questo sfogo ossessivo contro i cattolici, il volenteroso iconoclasta del Corriere della Sera non manca di citare una prostituta («cortigiana») calabrese «che nel 1639 spiegò al vicinato che la scomunica della Chiesa la “teneva in culo”». Ma che bella figura per un giornale come il Corriere della Sera! Che mirabile esempio di rigore critico e di fine capacità argomentativa. Con questo stile accademico, chiunque, tra cinquecento anni, potrebbe cercare di convincere i suoi lettori che la Chiesa di oggi era tutta fatta di maniaci e di omosessuali pedofili adducendo a bibliografia le sole dichiarazioni di Pannella e di alcuni esaltati anticattolici americani. Che valore avrebbe una ricostruzione storica del genere? In questo modo si può dimostrare tutto e il contrario di tutto, e si prostituiscono ai propri fini ideologici anche la storia e i suoi scienziati.

Questa mattina (6 luglio 2008), Renato Mannheimer ci dice sul Corriere della Sera online che il consenso al Presidente del Consiglio Berlusconi è salito dal 47 al 56%. Repubblica online ci dice, invece, che il Premier è sceso dal 61,4 al 46,4%. Bernard Nathanson, da parte sua, ci dice, nelle sue interviste, che, nel 1968, quando faceva campagna pro aborto in America, falsificò tutti i sondaggi sulla popolazione favorevole all’aborto e sul numero di aborti clandestini (un milione, disse, quando sapeva che ce n’erano al massimo centomila). E Luzzatto, il 5 giugno 2008, ci viene a dire che «nella Bologna del 1796 […] quasi il 40 per cento degli adulti non era sposato» e che «in certe grandi città, il numero di nascite illegittime sfiorava il 50 per cento». Ma, dico… scherziamo? Qui si brancola nel buio con le cifre di oggi (nonostante gli strumenti statistici sofisticati elaborati negli ultimi decenni) e lui ci vuole dare le cifre esatte di più di duecento anni fa? Da chi è andato, dal nuovo oracolo di Delfi?

Ma noi ormai siamo abbastanza vaccinati contro questa moda ideologica di dare i numeri. In realtà, non c’è bisogno di essere storici per capire che il pezzo di Luzzatto e le sue fonti non brillano certo per attendibilità e per efficacia persuasiva. Uno dei punti concettualmente centrali dell’argomentazione è, ad esempio, che prima del seicento c’erano soprattutto coppie di fatto, e che soltanto successivamente «la battaglia contro i concubini divenne prioritaria, per gerarchie vaticane sempre più ossessionate dall’idea di dover sorvegliare la sessualità delle donne». Ora, a parte questa propaganda stantia sulla Chiesa e la sessualità delle donne, l’idea stessa di contrapporre famiglia regolare e coppie di fatto prima del seicento è frutto di crassa ignoranza o di malafede intellettuale (o di qualche altra cosa che non riesco proprio a immaginare in questo momento, ma che parimenti non avrebbe nulla a che vedere con la verità). Il motivo è che prima della riforma del diritto canonico cui fa cenno Manzoni nei Promessi Sposi (la riforma che impose a Renzo e Lucia di esprimere il loro consenso davanti a don Abbondio, per intenderci), tutti i matrimoni regolari erano tali perché vi era convivenza di fatto.

Ciò non deve stupire. Secondo la dottrina cattolica, infatti, il matrimonio è un contratto che può anche concludersi per facta concludentia: cioè, col vivere insieme e compiere quello specifico atto sessuale che rende l’uomo e la donna una sola carne. La Chiesa ha sempre creduto, e crede tuttora, che – a meno che l’autorità legislativa non ponga a ciò limiti o vincoli specifici – se un uomo e una donna cominciano a vivere insieme con l’intenzione sincera di amarsi per sempre e formare una famiglia, esse contraggono a tutti gli effetti matrimonio con tutte le responsabilità morali che ne derivano. Manzoni narra precisamente di quel momento storico in cui, per esigenze di certificazione anagrafica, la Chiesa impose per la prima volta un vincolo legislativo sulla forma del matrimonio: i coniugi battezzati, come ministri del matrimonio, dovranno ormai esprimere esplicitamene il loro intento contrattuale davanti a un testimone qualificato (il parroco). La forma della celebrazione si è poi evoluta molto nelle leggi ecclesiastiche, ma ciò non cambia la sostanza del matrimonio, che è la convivenza consensuale tra uomo e donna fondata sull’amore e intesa a costituire la famiglia, che è il luogo dove il passato e il futuro della comunità politica s’incontrano e si conciliano. Sono queste caratteristiche che, per la loro importanza pubblica, hanno giustificato lungo i secoli l’evolversi di una particolare tutela giuridica del matrimonio. Il matrimonio è una convivenza di fatto che viene riconosciuta e tutelata dal diritto. La sua importanza è sancita proprio dal fatto che altre convivenze vengono o vietate (poligamia, rapporti incestuosi) o solo permesse (con le uniche tutele per gli eventuali figli).

Chi non sa queste cose non dovrebbe esprimersi né sul matrimonio cattolico né sulla sua storia. Figuriamoci attaccarli in quel modo sui giornali! Ma qui il problema è molto più serio. Passino pure le invettive dei talk show e delle piazze, ma lasciate in pace, per favore, la storia e l’onestà intellettuale che dovrebbe sempre caratterizzare la scienza e gli uomini di cultura. L’articolo di Luzzatto, più che un attacco al Cattolicesimo e alla famiglia tradizionale, è infatti un attacco irresponsabile alla scienza, alla ricerca e alla buona cultura. Se anche queste le facciamo cadere nel gossip volgare e nella guerra di propaganda abbiamo veramente toccato il fondo. Il Corriere della Sera non avrebbe dovuto permettere quell’articolo, quantomeno non nelle pagine dedicate alla cultura. E dispiace che Luzzatto non sia riuscito a frenarsi, e a riacquistare serenità di giudizio e pacatezza.

La nostra rivista, Questioni di Bioetica, ha una chiara ispirazione cattolica ma vuole a tutti i costi essere esempio di onestà intellettuale e di apertura al pluralismo, a un’educata ricerca scientifica e al dialogo corretto tra chi, in questa materia, la pensa in modo diverso. Sia gli autori cattolici che non cattolici sono i benvenuti sulle nostre pagine, a patto che scrivano con veridicità e con rispetto di quelle cose che hanno studiato e di cui si sono formati un’opinione qualificata. Il numero che presento adesso ai lettori è un ottimo esempio di ciò. In esso, oltre a un contributo di carattere epistemologico sulla definizione di bioetica firmato da Alessandro Pizzo, e a un'analisi giuridica della legge 194 offerta da Sergio Salvato, si alternano le voci contrastanti sul tema dell’aborto di Chiara Lalli e di Giuseppe Savagnone. I loro scritti rispecchiano con cordialità e precisione quegli stessi interventi che erano stati presentati a uno degli incontri pubblici promossi periodicamente dalla rivista: incontri in cui è ormai tradizione avere sempre due relatori di idee opposte che si confrontano in un clima di amicizia e di correttezza scientifica e accademica. Ricordo ancora con piacere il pranzo di quel giorno con Chiara, Giuseppe e Luciano, in cui, tra un sorso di vino e uno sprazzo di sole siciliano, e nonostante le opinioni diverse od opposte, abbiamo continuato a scherzare insieme e a discutere di svariate tematiche, bioetiche e non. Mi auguro che questo stile (di cui, grazie a Dio, non abbiamo il monopolio) sia sempre più contagioso sia dentro che fuori l’Accademia.

 

 

Fulvio Di Blasi

 
     
     
 
 
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