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Editoriale
Famiglia e unioni di fatto:
quando
il gossip e la volgarità investono anche la storia
e la cultura
L’universo
massmediatico di oggi vive sempre più di gossip, di
curiosità morbose, di sensazionalismi e di giudizi sommari
e superficiali. Non a caso, ci sono giornalisti, politici,
ex magistrati e comici che ne hanno fatto un mestiere a
sé. Essi sanno che ad abbaiare contro gli avversari e a
dire parolacce in pubblico si guadagnano sempre un certo
successo, un qualche consenso e molti, molti soldi. E
quando ci sono di mezzo i soldi, la dignità e la verità si
lasciano facilmente dietro le spalle.
Ma poi a chi
importa della dignità, della nobiltà d’animo, dell’onestà
intellettuale? La gente della nostra società si sente poca
cosa, e non aspetta altro che si dica in pubblico quanto
deboli e cattivi siano anche tutti gli altri. I santi sono
subdole invenzioni giornalistiche del Vaticano. Se
non si hanno foto di Madre Teresa ai casinò e di Giovanni
Paolo II nei quartieri a luci rosse è solo perché nessuno
era lì, al momento giusto, a scattarle. Il gossip, il
dubbio morboso e le volgarità fanno da pendant alla
mancanza di autostima dell’uomo di oggi. Il giornalismo,
il cinema, la televisione e internet, come la borsa,
tirano l’uomo al ribasso. E in questo gioco al ribasso
bisogna ora mettere dentro anche la storia, la famiglia e
la Chiesa.
Il motivo, in
fondo, è semplice. L’ideale di famiglia iscritto nel
Cattolicesimo è molto alto: tratta l’uomo e la donna come
esseri capaci di grandi virtù, di sacrificio di sé, di
promesse solenni di fedeltà “nella buona e nella cattiva
sorte, finché morte non ci separi”. L’uomo di oggi,
infedele e meschino, aspirante al grande fratello e ai
posti di velina, pronto a prostituirsi fisicamente o
intellettualmente pur di guadagnare qualche soldo in più…
quest’uomo non può che avere in odio gli ideali del
matrimonio e della famiglia perché se questi sono veri,
allora è lui ad essere falso, e non è vero che tutti sono
bassi e meschini come lui. È in quest’ottica che si può
forse capire (ma non giustificare) la pagina culturale
scandalo del Corriere della Sera di giovedì 5
giugno 2008, intitolata “Unioni di fatto, la storia di
sempre”.
Qui, Sergio
Luzzatto, riferendosi – quasi come fossero testi sacri –
ad alcuni recenti pseudo libri di storia, si lancia in una
sua invettiva senza frontiere contro «i sermoni vaticani
sul matrimonio», la «propaganda bigotta dei Family Days» e
la «favola di un bel tempo andato in cui la famiglia era
un’istituzione armoniosa, stabile e coesa […] come Dio
comanda». Vuole finalmente dirci la verità il buon
Luzzatto: cioè, che la famiglia, come ne parla la dottrina
cattolica, non è mai esistita, che la regola è data dai
rapporti di fatto, e che perfino la maggior parte dei
preti ha sempre avuto le sue scappatelle. Fino alla
Controriforma, ci dice, «maestri del concubinato erano i
sacerdoti». E in questo sfogo ossessivo contro i
cattolici, il volenteroso iconoclasta del Corriere
della Sera non manca di citare una prostituta
(«cortigiana») calabrese «che nel 1639 spiegò al vicinato
che la scomunica della Chiesa la “teneva in culo”». Ma che
bella figura per un giornale come il Corriere della
Sera! Che mirabile esempio di rigore critico e di fine
capacità argomentativa. Con questo stile accademico,
chiunque, tra cinquecento anni, potrebbe cercare di
convincere i suoi lettori che la Chiesa di oggi era tutta
fatta di maniaci e di omosessuali pedofili adducendo a
bibliografia le sole dichiarazioni di Pannella e di alcuni
esaltati anticattolici americani. Che valore avrebbe una
ricostruzione storica del genere? In questo modo si può
dimostrare tutto e il contrario di tutto, e si
prostituiscono ai propri fini ideologici anche la storia e
i suoi scienziati.
Questa mattina
(6 luglio 2008), Renato Mannheimer ci dice sul Corriere
della Sera online che il consenso al Presidente del
Consiglio Berlusconi è salito dal 47 al 56%. Repubblica
online ci dice, invece, che il Premier è sceso dal
61,4 al 46,4%. Bernard Nathanson, da
parte sua, ci dice, nelle sue interviste, che, nel 1968,
quando faceva campagna pro aborto in America, falsificò
tutti i sondaggi sulla popolazione favorevole all’aborto e
sul numero di aborti clandestini (un milione, disse,
quando sapeva che ce n’erano al massimo centomila). E
Luzzatto, il 5 giugno 2008, ci viene a dire che «nella
Bologna del 1796 […] quasi il 40 per cento degli adulti
non era sposato» e che «in certe grandi città, il numero
di nascite illegittime sfiorava il 50 per cento». Ma,
dico… scherziamo? Qui si brancola nel buio con le cifre di
oggi (nonostante gli strumenti statistici sofisticati
elaborati negli ultimi decenni) e lui ci vuole dare le
cifre esatte di più di duecento anni fa? Da chi è andato,
dal nuovo oracolo di Delfi?
Ma noi ormai
siamo abbastanza vaccinati contro questa moda ideologica
di dare i numeri. In realtà, non c’è bisogno di
essere storici per capire che il pezzo di Luzzatto e le
sue fonti non brillano certo per attendibilità e per
efficacia persuasiva. Uno dei punti concettualmente
centrali dell’argomentazione è, ad esempio, che prima del
seicento c’erano soprattutto coppie di fatto, e che
soltanto successivamente «la battaglia
contro i concubini divenne prioritaria, per gerarchie
vaticane sempre più ossessionate dall’idea di dover
sorvegliare la sessualità delle donne». Ora, a parte
questa propaganda stantia sulla Chiesa e la sessualità
delle donne, l’idea stessa di contrapporre famiglia
regolare e coppie di fatto prima del seicento è frutto di
crassa ignoranza o di malafede intellettuale (o di qualche
altra cosa che non riesco proprio a immaginare in questo
momento, ma che parimenti non avrebbe nulla a che vedere
con la verità). Il motivo è che prima della riforma del
diritto canonico cui fa cenno Manzoni nei Promessi
Sposi (la riforma che impose a Renzo e Lucia di
esprimere il loro consenso davanti a don Abbondio, per
intenderci), tutti i matrimoni regolari erano tali
perché vi era convivenza di fatto.
Ciò non deve
stupire.
Secondo la
dottrina cattolica, infatti, il matrimonio è un contratto
che può anche concludersi per facta concludentia:
cioè, col vivere insieme e compiere quello specifico atto
sessuale che rende l’uomo e la donna una sola carne.
La Chiesa ha sempre creduto, e crede tuttora, che – a meno
che l’autorità legislativa non ponga a ciò limiti o
vincoli specifici – se un uomo e una donna cominciano a
vivere insieme con l’intenzione sincera di amarsi per
sempre e formare una famiglia, esse contraggono a tutti
gli effetti matrimonio con tutte le responsabilità morali
che ne derivano. Manzoni narra precisamente di quel
momento storico in cui, per esigenze di certificazione
anagrafica, la Chiesa impose per la prima volta un vincolo
legislativo sulla forma del matrimonio: i coniugi
battezzati, come ministri del matrimonio, dovranno
ormai esprimere esplicitamene il loro intento contrattuale
davanti a un testimone qualificato (il parroco). La
forma della celebrazione si è poi evoluta molto nelle
leggi ecclesiastiche, ma ciò non cambia la sostanza
del matrimonio, che è la convivenza consensuale tra
uomo e donna fondata sull’amore e intesa a costituire la
famiglia, che è il luogo dove il passato e il futuro della
comunità politica s’incontrano e si conciliano. Sono
queste caratteristiche che, per la loro importanza
pubblica, hanno giustificato lungo i secoli l’evolversi di
una particolare tutela giuridica del matrimonio. Il
matrimonio è una convivenza di fatto che viene
riconosciuta e tutelata dal diritto. La sua importanza è
sancita proprio dal fatto che altre convivenze vengono o
vietate (poligamia, rapporti incestuosi) o solo permesse
(con le uniche tutele per gli eventuali figli).
Chi non sa
queste cose non dovrebbe esprimersi né sul matrimonio
cattolico né sulla sua storia. Figuriamoci attaccarli in
quel modo sui giornali! Ma qui il problema è molto più
serio. Passino pure le invettive dei talk show e delle
piazze, ma lasciate in pace, per favore, la storia e
l’onestà intellettuale che dovrebbe sempre caratterizzare
la scienza e gli uomini di cultura. L’articolo di
Luzzatto, più che un attacco al Cattolicesimo e alla
famiglia tradizionale, è infatti un attacco irresponsabile
alla scienza, alla ricerca e alla buona cultura. Se anche
queste le facciamo cadere nel gossip volgare e nella
guerra di propaganda abbiamo veramente toccato il fondo.
Il Corriere della Sera non avrebbe dovuto
permettere quell’articolo, quantomeno non nelle pagine
dedicate alla cultura. E dispiace che Luzzatto non sia
riuscito a frenarsi, e a riacquistare serenità di giudizio
e pacatezza.
La nostra
rivista, Questioni di Bioetica, ha una chiara
ispirazione cattolica ma vuole a tutti i costi essere
esempio di onestà intellettuale e di apertura al pluralismo,
a un’educata ricerca scientifica e al dialogo corretto
tra chi, in questa materia, la pensa in modo diverso.
Sia gli autori cattolici che non cattolici sono i benvenuti
sulle nostre pagine, a patto che scrivano con veridicità
e con rispetto di quelle cose che hanno studiato e di
cui si sono formati un’opinione qualificata. Il numero
che presento adesso ai lettori è un ottimo esempio di
ciò. In esso, oltre a un contributo di carattere epistemologico
sulla definizione di bioetica firmato da Alessandro
Pizzo, e a un'analisi giuridica della legge 194 offerta
da Sergio Salvato, si alternano le voci contrastanti
sul tema dell’aborto di Chiara Lalli e di Giuseppe Savagnone.
I loro scritti rispecchiano con cordialità e precisione
quegli stessi interventi che erano stati presentati
a uno degli incontri pubblici promossi periodicamente
dalla rivista: incontri in cui è ormai tradizione avere
sempre due relatori di idee opposte che si confrontano
in un clima di amicizia e di correttezza scientifica
e accademica. Ricordo ancora con piacere il pranzo di
quel giorno con Chiara, Giuseppe e Luciano, in cui,
tra un sorso di vino e uno sprazzo di sole siciliano,
e nonostante le opinioni diverse od opposte, abbiamo
continuato a scherzare insieme e a discutere di svariate
tematiche, bioetiche e non. Mi auguro che questo stile
(di cui, grazie a Dio, non abbiamo il monopolio) sia
sempre più contagioso sia dentro che fuori l’Accademia.
Fulvio Di
Blasi |
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