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ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 6 - Maggio 2008 
     
 

Il problema dell’aborto. Tra libertà di scelta e diritto alla vita [1]

di Chiara Lalli*

 

 

 

 

L’ostacolo principale alla moralità e alla legalità dell’aborto è rappresentato dalla personalità giuridica e morale dell’embrione e/o del feto.

Prima di entrare nel cuore della discussione è bene chiarire, almeno brevemente, i termini della questione: moralità; legalità; embrione; diritto alla vita; concetto di persona.

La morale ha a che fare con le questioni di valore: quando domando se X è morale o immorale quali strumenti ho per rispondere? Non gli strumenti scientifici o “tecnici” (come potrei fare se domandassi se X si trova sopra a quel tavolo: in questo caso posso andare a vedere e la proposizione sarà vero o falsa – lasciando da parte in questa sede i problemi riguardo all’esistenza della verità e alla definizione della scienza). Posso avvalermi degli strumenti argomentativi: una posizione morale sarà solida e ben argomentata (o fallace e malamente argomentata), ma non potrà mai essere vera in senso stretto. La morale ha una qualche legame con la legalità: morale e legale però non possono essere coincidenti (se X è immorale, X deve anche essere automaticamente illegale?). Il rifiuto di tale coincidenza implica il rifiuto del cosiddetto moralismo legale (X è vietato perché è immorale). Sono molti gli esempi che si potrebbero fare a sostegno della opportunità di non dichiarare fuori legge ciò che giudichiamo immorale – almeno in uno Stato che voglia definirsi liberale e laico, ovvero garante di valori diversi[2]. Non fare beneficenza o non essere educati possono essere considerate azioni immorali: ma saremmo disposti a imporre per legge di fare la beneficenza e di essere educati? O ancora: esistono alcuni che ritengono immorale (contro la propria morale) sposare persone appartenenti a razze diverse. Sebbene discutibile, finché è una posizione morale dovremmo essere disposti a lasciare che ognuno la pensi come preferisce. Osceno invece trasformare una tale credenza in una legge (come tristemente è accaduto).

Quali sono allora le condizioni necessarie per giustificare la coercizione legale? Il criterio del danno a terzi: uccidere, aggredire, torturare. Il danno a terzi costituisce la violazione di un diritto (alla vita, all’integrità) e la frustrazione di un interesse[3] (di non essere uccisi, aggrediti, torturati).

Il criterio del danno a terzi rifiuta anche il paternalismo legale: X è vietato per il tuo bene. Ognuno dovrebbe essere libero di decidere sul proprio corpo e sulla propria esistenza, ammesso che non vi sia anche un danno a terzi. Un esempio classico di paternalismo legale è rappresentato dal proibizionismo (si pensi al divieto di consumare alcol in nome della salute dei potenziali consumatori).

In base a questa premessa per vietare l’aborto (in Italia permesso dalla legge 194/1978) non basta dimostrarne l’immoralità. Dobbiamo dimostrare la presenza di un danno per l’embrione e/o il feto.

La domanda diventa: abortire costituisce la violazione del diritto alla vita dell’embrione e/o del feto?

 

 

1. L’embrione possiede il diritto alla vita?

 

Il termine ‘embrione’ può essere impiegato con il significato generico di organismo pluricellulare in sviluppo (sia di specie umana che di altre). Pertanto sul piano lessicale, ma non scientifico, anche lo zigote (ovvero la fase iniziale in cui si uniscono i due gameti sessuali) è un embrione. Lo sviluppo embrionale[4] attraversa le fasi di zigote, morula (dopo una settimana circa), blastocisti (impianto nell’utero). A partire dal quattordicesimo giorno dal concepimento si parla di embrione (prima si parla di pre-embrione: termine proposto dalla Commissione Warnock nel 1984 e riguardante gli embrioni prodotti in laboratorio[5]).

Fino alla fine della ottava settimana si parla di embrione. Con l’inizio della nona settimana si parla di feto (in corrispondenza della undicesima di gravidanza).

 

Il diritto alla vita viene attribuito elettivamente alle persone. In virtù delle proprietà che rendono un organismo una persona (il dibattito su alcuni animali, a ben guardare, riguarda proprio la possibilità di riscontrare i requisiti necessari e sufficienti per rilevare la presenza di una persona. The Great Ape Project muove proprio da queste premesse: “The idea is founded upon undeniable scientific proof that non-human great apes share more than genetically similar DNA with their human counterparts. They enjoy a rich emotional and cultural existence in which they experience emotions such as fear, anxiety and happiness. They share the intellectual capacity to create and use tools, learn and teach other languages. They remember their past and plan for their future. It is in recognition of these and other morally significant qualities that the Great Ape Project was founded”[6]).

La premessa fondamentale per cui è permesso prelevare gli organi da chi è in morte cerebrale (ovvero quando il sistema nervoso centrale è irrimediabilmente distrutto) sta nella possibilità di distinguere l’essere umano (come appartenente alla specie homo sapiens) dalla persona. Chi è morto cerebralmente è senza dubbio ancora un essere umano ma non è più una persona. Ad interessarci è la possibilità di affermare che un embrione non sia ancora una persona.

Accennare alla morte cerebrale offre l’occasione per far emergere la connessione tra l’attività mentale e la personalità. E, appunto, la distinzione tra persona ed essere umano (homo sapiens).

Il concetto di persona è un concetto morale. Ha a che fare con il mondo dei valori e non con il mondo della scienza. Nessuno strumento, per quanto potente, potrà rivelarci  quando un organismo sia anche una persona o quando non lo sia più. Il significato di “persona” è sempre una scelta di ordine morale (stabilita la premessa che per rilevare la presenza di una persona è necessario rilevare X, lo strumento può aiutarci a capire se quella premessa è presente oppure no). Un ulteriore problema consiste nel fatto che i processi biologici sono continui e non presentano salti significativi dal punto di vista morale. (Al fine di illustrare la durezza, la convenzionalità e le inevitabili sbavature nel segnare un momento preciso di passaggio basti pensare a quanto stabilisce il Codice Civile, all’articolo 1, circa la capacità giuridica: la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita, e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita. L’evento “nascita” non rappresenta un evento miracoloso dal punto di vista del feto: un giorno prima della nascita il feto è molto simile a come sarà alla nascita o un giorno dopo la nascita: ma il diritto ha bisogno di definizioni certe. Si veda oltre il cosiddetto problema della soglia).

La tradizione filosofica rileva come condizione necessaria una seppur minima capacità mentale (coscienza e autocoscienza) e la capacità mentale richiede la presenza del sistema nervoso, anche se con suo minimo grado di sviluppo: se accettiamo questa premessa durante le prime fasi dello sviluppo embrionale non possiamo attribuire personalità all’embrione. Sul fatto che lo zigote e l’embrione non posseggono uno sviluppo del sistema nervoso (fino al 14° giorno non vi sono nemmeno cellule neuronali) tale da consentire attività mentale c’è abbastanza accordo. Non è in virtù del possedere oggi un’attività mentale, infatti, che si basa la condanna dell’interruzione di gravidanza. Prima di affrontare due tra gli argomenti più usati per giudicare immorale l’aborto, vediamo cosa dice la legge italiana.

 

La legge 194/1978 consente l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni (articolo 4). Successivamente è permessa in caso di grave pericolo per la vita della donna oppure di grave pericolo per la salute psichica o fisica della donna (nel caso si riscontrino gravi patologie del nascituro).

E veniamo ai due argomenti (potenzialità e soglia), non prima di un breve chiarimento strumentale. Userò l’analogia al fine di mettere in evidenza un aspetto paragonabile in due situazioni differenti. Un po’ come fa la similitudine: “I tuoi occhi sono luminosi come stelle”. Non si vuole intendere, ovviamente, che i tuoi occhi siano stelle. Ma ci si sofferma sul carattere luminosità e si indagano le somiglianze e le differenze tra le stelle e i tuoi occhi – in questo caso proprio la somiglianza dei tuoi occhi alle stelle (se in questo esempio sembra superfluo esplicitarlo, in molte occasioni mi è capitato di ascoltare obiezioni che avevano la forma: “ma i miei occhi non sono stelle!”).

I due argomenti contro la moralità dell’aborto mirano a dimostrare che l’embrione sia una persona e quindi detentore di un diritto alla vita che sarebbe ingiusto recidere ricorrendo alla interruzione di gravidanza. Perché l’essere in vita, unico e irripetibile non basterebbe a condannare l’aborto. Così come non basterebbe l’appartenenza alla specie umana. Non sono requisiti sufficienti per essere una persona: anche un gamete è vivo, unico e appartiene alla specie umana, ma nessuno vorrebbe attribuirgli dei diritti, né il carattere di persona. Nelle fasi iniziali non si può nemmeno invocare la presenza di un individuo: fino al quattordicesimo giorno circa è possibile la divisione gemellare. Come si spiegherebbe la trasformazione da un individuo a due (o più) individui?

 

2. L’argomento della potenzialità

Secondo questo argomento l’embrione è potenzialmente una persona, quindi l’embrione è una persona. Una persona possiede il diritto alla vita, quindi anche l’embrione (che sarebbe persona in potenza) possiede il diritto alla vita.

L’argomento della potenzialità inferisce l’esistenza di diritti attuali da future proprietà.

La possibilità o la certezza che in futuro un organismo acquisisca determinate caratteristiche che non possiede allo stato attuale non ci giustifica però a trattarlo come se le avesse già acquisite.

Come ci invita a riflettere John Harris, ognuno di noi è potenzialmente morto: possiamo forse attribuirci oggi lo statuto di morti (condizione sicuramente vera domani)?

Il fatto che far derivare diritti attuali da future proprietà sia una mossa accettata esclusivamente nel dibattito che riguarda lo statuto embrionale sembra suggerire una certa disonestà di questa argomentazione. Basta l’esempio suddetto, infatti, a indicare qualche crepa argomentativa. Ma se ne potrebbero fare  molti altri.

Un bambino di 8 anni possiede potenzialmente il diritto di voto che acquisirà a 18 anni. Accetteremmo di farlo votare oggi in base al fatto che tra 10 anni acquisirà quel diritto (diritto che acquisirà in seguito all’acquisizione di alcuni requisiti che sono presenti a 18 anni e non a 10 anni)?

 

3. L’argomento della soglia

Secondo l’argomento della soglia l’embrione è una persona perché non è possibile indicare un punto preciso in cui l’embrione (inteso come pre-persona) diventa persona.

La continuità dello sviluppo embrionale disattiverebbe la possibilità di individuare delle differenze tra il prima e il dopo.

Anche in questo caso la validità argomentativa sembra applicarsi soltanto per l’embrione. Proviamo ad applicare il medesimo ragionamento alla distinzione tra giovinezza ed età adulta. È impossibile additare il momento esatto in cui un ragazzo diventa adulto (si pensi alla convenzionalità e alla arbitrarietà del compimento del diciottesimo anno di età. E si pensi anche alla sua imprecisione: un ragazzo che abbia 18 anni meno 1 giorno non è diverso da quello che diventerà qualche ora più tardi).

Tuttavia non siamo disposti a rinunciare alla differenza concettuale tra la giovinezza e l’età adulta. Potrebbe essere saggio indicare una zona piuttosto che un punto esatto, ovvero a confessare una fase di incertezza. Ma è indubbio che esista una differenza tra la giovinezza e l’età adulta.

Un altro possibile esempio è costituito dall’alternarsi del giorno e della notte. Allo stesso modo è impossibile indicare il momento esatto in cui dalla notte si passa al giorno (e viceversa). Ma allo stesso modo non rinunciamo alla differenza tra il giorno e la notte perché non esiste un interruttore come nel caso della luce elettrica, ma un lento e graduale passaggio da una condizione ad un’altra.

 

4. Il violinista

Esiste poi un argomento concessivo molto celebre (proposto nel 1971 da Judith Jarvis Thomson, A Defense of Abortion, “Philosophy & Public Affaire”, Vol. 1, no. 1). Pur ammettendo la personalità dell’embrione Thomson intende affermare la legittimità dell’interruzione di gravidanza.

È l’argomento del violinista: come si risolve il conflitto tra i diritti di due persone (madre ed embrione)? E quali sono i diritti che si scontrano?

Il conflitto può avvenire tra il diritto alla vita dell’embrione e il diritto di scelta della  madre: sembrerebbe ammissibile che il primo sia più forte del secondo. Se infatti il diritto di scegliere del proprio corpo e della propria esistenza è un diritto importante, il diritto alla vita appare verosimilmente più forte. Ma tale presunzione si rivela fallace. E l’esempio del violinista intende dimostrarlo.

Thomson ci invita ad immaginare il seguente scenario: una mattina ci svegliamo in un ospedale e ci ritroviamo collegati al sistema circolatorio di un famoso violinista malato perché i nostri reni servono a depurare il suo sangue. Scollegarsi significa ucciderlo. La sua insufficienza renale sarà guarita in nove mesi. Il violinista è una persona e gode del diritto alla vita. Noi abbiamo il diritto di scegliere di andarcene, ma la nostra scelta ucciderebbe il violinista. “Aspettate solo nove mesi e poi potrete scollegarvi”, ci sentiamo ripetere. Il diritto alla vita del violinista è davvero più forte del nostro diritto di scelta?

Se allo scenario suddetto si aggiunge un pericolo per la nostra salute o per la nostra stessa vita come effetto del collegamento ai reni del violinista (e quindi il conflitto diventa tra il diritto della madre alla vita e il diritto dell’embrione alla vita), è ancora più difficile giustificare il dovere morale di rimanere collegati al violinista.

Questo conflitto mette in luce la fallacia della pretesa di inferire la condanna dell’aborto dalla personalità dell’embrione e la complessità del diritto alla vita.

A volte il diritto alla vita di X implica l’uso di qualcosa su cui però X non può rivendicare un diritto (nell’esempio sono i nostri reni per il violinista: ha il diritto di farne uso?). Potrebbe essere una nostra scelta, ma mai un nostro dovere[7].

L’esempio di Thomson su Henry Fonda illustra il carattere di pretesa nel rivendicare qualcosa a qualcuno in nome del nostro diritto alla vita: “Se giaccio mortalmente malata – sostiene Thomson – e la sola cosa che può salvarmi è il tocco della fredda mano di Henry Fonda sulla mia fronte febbricitante, nondimeno non  ho il diritto di ricevere il tocco della fredda mano di Henry Fonda sulla mia fronte febbricitante. Sarebbe estremamente gentile da parte sua volare dalla West Coast per questo”.

 

Per concludere questa breve trattazione vorrei accennare ad alcune conseguenze dell’attribuzione di diritti all’embrione. Innanzitutto con il rischio di criminalizzare la gravidanza. Ogni azione potrebbe essere potenzialmente dannosa per l’embrione: continuare a lavorare, guidare, avere una discussione animata, avere rapporti sessuali. Dallo stile di vita all’alimentazione (compresa la possibilità e la qualità delle cure prenatali) ogni scelta compiuta durante la gravidanza potrebbe essere “a rischio” (di reato). Regolare questo rischio tramite una legge potrebbe diventare una forma intollerabile di abuso (oltre ad essere difficile stilare un elenco di comportamenti vietati con le relative pene). Lo scenario sembra troppo ipotetico, ma in realtà esistono già leggi ispirate alla criminalizzazione della gravidanza e gli effetti sono drammatici. Nel 2001 negli Stati Uniti una legge federale equipara l’embrione alle persone. La Unborn Victims of Violence Act[8] parla, dal concepimento in poi, di unborn child (ove l’accento è sul sostantivo e l’aggettivo unborn non intacca nulla dello statuto di bambino a partire dall’unione dei due gameti, quindi di persona).

Lo scopo nobile (proteggere il nascituro nel caso di aggressioni contro una donna incinta) implica conseguenze gravi. Solo per fare un esempio: nel 2001 in South Carolina Regina McNight è condannata a 12 anni di carcere per omicidio.

Aveva partorito un bambino morto. McNight aveva fumato crack durante la gravidanza, ma nessun medico era stato in grado di dimostrare che fosse la causa della morte del neonato (spesso è molto difficile stabilire la causa dei decessi fetali). Il South Carolina è uno degli Stati che stanzia meno fondi per i programmi di disintossicazione e la prevenzione delle tossicodipendenze, ma spenderà circa 300.000 dollari per la lunga detenzione di Regina McKnight. Il South Carolina, e così anche molti altri Stati e molti difensori nostrani della sacralità della vita, è poco interessato alle cure pre e postatali, così come agli aiuti all’infanzia e ai genitori in difficoltà. Sembra che l’embrione sia sacro soltanto dal concepimento al parto.

Un’altra inevitabile conseguenza è rappresentata dagli aborti clandestini (giusto una precisazione: l’esistenza, o l’incremento, degli aborti clandestini non può rappresentare un argomento a favore della liceità e della legalità dell’aborto. Proprio come l’esistenza dei furti non potrebbe essere un argomento a favore della depenalizzazione dei furti: “dal momento che i furti esistono, e il ladro potrebbe subire qualche sgradevole conseguenze, allora aboliamo il reato di furto”. Il discorso sugli aborti clandestini è parallelo, o successivo, agli argomenti a favore della legalità dell’interruzione di gravidanza). Ebbene, secondo le stime della Fondazione International Planned Parenthood (2006) 19 milioni di donne e ragazze nel mondo avrebbero rischiato in quell’anno un aborto non sicuro; più di 70.000 sono le donne che moriranno di tali aborti. Ogni anno. Tutti gli anni.

 


 


* Docente di Logica e di Filosofia della scienza alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università La Sapienza di Roma

 

[1] Questo intervento è stato discusso in occasione dell’incontro “Il problema dell’aborto tra libertà di scelta e diritto alla vita” tenutosi a Palermo il 14 dicembre 2007 per il Ciclo di incontri di Bioetica dell’Associazione Thomas International.

[2] In altre parole di quel relativismo morale tanto vituperato e che altro non è che la possibilità di avere preferenze diverse senza che queste danneggino nessuno (ad esempio, sposarsi o non sposarsi; curarsi o non curarsi; credere nel Dio cattolico o in un altro Dio o in nessun Dio; e così via). È bene anche ricordare che l’alternativa al relativismo morale è il dogmatismo o l’assolutismo.

[3] Non ho modo di dilungarmi in questa sede sul principio del danno a terzi. Rimando alla tetralogia di Joel Feinberg (The Moral Limits of the Criminal Law, voll. 1-4; 1985, 1986, 1986 e 1988; New York, Oxford University Press).

[4] Ringrazio Antonino Forabosco per le precisazioni sulle fasi dello sviluppo embrionale.

[5] La sperimentazione embrionale è consentita sui pre-embrioni.

[7] Thomson si dilunga su molti particolari come la volontarietà della gravidanza. Si veda http://spot.colorado.edu/~heathwoo/Phil160,Fall02/thomson.htm.

 
     
     
     
 
 
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