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ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 6 - Maggio 2008 
     
 

La definizione di bioetica. Un contributo epistemologico

di Alessandro Pizzo*

 

1. Premessa.

 

Si potrebbe iniziare il presente scritto delimitando l’orizzonte di discorso e tentando di delineare una cornice concettuale all’interno della quale definire la bioetica. Per la verità, si potrebbe ma non verrà fatto. Infatti, quel che un tale procedere ometterebbe di fare, e di dichiarare, è il precisare l’orizzonte epistemologico alla base di un discorso intorno alla definizione della disciplina in oggetto. Compito del presente lavoro non è, pertanto, discutere una possibile definizione, una tra le tante, di bioetica, ma discutere il problema di una sua definizione attraverso la delucidazione dei presupposti epistemici in virtù dei quali è possibile parlare di “bioetica”.

Si vedrà anche come un tale approccio non condurrà lontano dalla discussione sulla natura della disciplina e come, in realtà, proprio un esame epistemologico della questione consenta di porre nella giusta luce il senso di alcune delle principali argomentazioni bioetiche, quelle che, almeno in Italia, si contendono il primato nell’agone pubblico.

D’altra parte, non si comprende come mai sia quasi assente una riflessione che prenda in considerazione la natura delle argomentazioni del discorso bioetico. Infatti, è possibile chiarire parecchie presupposizioni che, silenti, agiscono nell’orientare le varie posizioni. Pertanto, proprio una puntuale discussione di natura epistemica, vertente sull’esame della forma logica assunta dalle argomentazioni del discorso bioetico, consente di fornire un contributo alla più vasta discussione sulla materia, e, quindi, anche di fornire una (possibile) definizione di bioetica.

 

2. Necessità di una bioetica.

 

La condizione culturale della nostra vita quotidiana è profondamente pervasa dalla tecnologia, da un sapere procedurale il quale ha, nel tempo, in realtà in un brevissimo periodo di tempo, rivoluzionato il patrimonio culturale della popolazione umana, soprattutto, ma non soltanto, nei paesi occidentali. Per di più, nella misura in cui questa rivoluzione culturale ha investito la dimensione biologica dell’essere umano più pressanti si sono fatti i timori, così come i problemi, che tale invasione tecnologica potesse in qualche modo andare a detrimento della medesima vita umana[1].

D’altra parte, a tale travolgente divenire tecnologico non è corrisposta adeguata elaborazione culturale al punto che ci si è trovati spesso nella difficoltà ad inquadrare, non ancora a pensare, fattispecie biologiche impensabili, perché non esistenti, solo qualche anno prima (p.e. la clonazione di specie viventi, sino all’estremo caso della clonazione umana; la liceità degli OGM, sino all’estremo caso della modificazione del genoma umano; la fecondazione artificiale, sino all’estremo della sostituzione delle figure genitoriali in surrogati meccanici; il trapianto d’organi, sino all’estremo della trapiantabilità di qualsiasi tessuto, anche non umano; la contraccezione umana; l’aborto; le chimere, sino all’estremo dell’unione di organismi con origine da regni differenti, anche non soltanto animale; etc.)[2].

Allora, di fronte al progresso scientifico, e alla sua curvatura pratica, la tecnologia, la cultura (occidentale) ha tentato di porsi il problema di una regolazione delle condotte interessate, soprattutto quando questa tocca aspetti pubblici della sfera biologica[3]. In questo contesto è stata formulato un sapere, chiamato bioetica, consistente in una «scienza della sopravvivenza»[4], o etica della vita[5], ossia una disciplina, via via sempre più multidisciplinare[6], coinvolgente ontologie regionali differenti (p.e. la filosofia; la sociologia; il diritto; la psicologia; la biologia; etc.), avente per scopo la formulazione dei criteri di condotta adatti ai vari casi resi possibili dalla rivoluzione tecnologica (di regole, criteri, canoni, significati dei termini), e in grado di «garantire la sopravvivenza e il benessere dell’uomo»[7]. Il problema, in altri termini, è stato quello di elaborare un’etica, spesso, ma non solo, di carattere filosofico che fosse in grado di fornire criteri adatti per la condotta bioetica[8], per la risoluzione di tutti quei dilemmi[9], causati dalla rivoluzione scientifica, i quali richiedono sovente una scelta morale[10].

È evidente che sorge subito una questione non più storica né storiografica, ma dall’indubbio sapore epistemico: perché (un’) etica della vita? La vita necessita forse di un’etica? Cosa può l’etica nei confronti della vita? La domanda, magari a dispetto delle apparenze, non è oziosa. Infatti, il collegare due termini, etica e vita, ethos e bios, implica che l’orizzonte di senso sia preciso e nasca dalla loro reciproca congiunzione: etica per la vita[11]. Ma perché la vita (oggi) dovrebbe aver bisogno di un’etica? Perché è avvertita la forte necessità, quasi l’impellenza, di una (nuova) etica rivolta agli aspetti, certo non tutti, della vita umana? È evidente, da questo punto di vista, ma anche secondo l’esperienza comune, che la vita di oggi è differente da quella di una volta, che esiste una divaricazione antropologica profonda tale da richiedere una nuova, e diversa, consapevolezza, una nuova “riflessività” di fronte alla rivoluzione tecnologica in atto in biologia, una rivoluzione umana in primo luogo, del pianeta Terra in secondo luogo; si richiede, cioè, un ripensamento etico generale che delinei il limes di quanto è lecito, ossia possibile realizzare, e di quanto è illecito, ossia impossibile realizzare. Antropologicamente, infatti, si è rovesciato il rapporto tra la legge (nomos) e la natura (physis): non v’è più una dipendenza della prima dalla seconda, ma quest’ultima può essere modificata dalla prima.

 

3. Quali sono le presupposizioni epistemiche nei giudizi bioetici?

 

Dato il carattere pervasivo assunto dalla tecnologia, si potrebbe anche dire che la bioetica riguardi non soltanto casi particolari, spesso eclatanti, ma sempre più la nostra vita quotidiana[12]. Il problema, allora, è il seguente: qual è il criterio in virtù del quale giudicare della liceità, così come dell’illiceità, delle condotte chiamate in causa dalla rivoluzione biologica attuale?[13] Appare chiaro, infatti, che tale criterio, perlomeno quello dichiarato, in realtà sia giustificato da presupposizioni epistemiche concorrenti tra loro, in virtù della quale opposizione si mette capo ad opzioni morali differenti e confliggenti sui diversi aspetti[14], e casi, del nascere[15], del morire[16], del curarsi[17]. Sono tutti aspetti, forse anche dimensioni, della nostra vita umana, in breve del vivere, chiamati in causa dato che la scienza ci ha ormai messo nelle condizioni di mettere definitivamente le mani sull’albero della vita[18]. Pertanto, il senso delle precedenti questioni va individuato nella necessità di chiarire i presupposti che producono le varie argomentazioni bioetiche. Infatti, sono questi presupposti epistemici che producono i valori in virtù dei quali una comunità umana riconosce ai soggetti dei “diritti”, successivamente riconosciuti come tali e di conseguenza sanzionati socialmente all’interno di una cornice giuridica, veste istituzionale di una comunità[19].

Così diventa chiaro anche come mai la bioetica presenti rilevanti punti di contatto con la cd. biogiuridica[20], dato il nesso ineludibile sorto tra le possibilità della tecnica e la rivendicazione di “diritti” soggettivi alla loro traduzione in concreto[21].

D’altra parte è pur vero che le questioni sollevate dalla rivoluzione delle tecniche biologiche presentano un doppio aspetto: (1) stabilire quali sono i valori cui ispirare le condotte pratiche chiamate in causa dalle possibilità tecniche; e, (2) stabilire il godimento di quali diritti soggettivi assicurare in una società. Semplicemente, diciamo che sotto l’aspetto (1) ricade in gran parte, seppur non del tutto, l’insieme dei discorsi della riflessione bioetica propriamente detta; invece, sotto l’aspetto (2) ricade per intero l’insieme dei discorsi della biogiuridica.

Quali sono, dunque, le presupposizioni in gioco nella formulazione delle argomentazioni bioetiche? Se si riconosce che sostanzialmente la bioetica è importante perché operante determinati investimenti di senso sulla vita umana[22], allora se ne possono individuare due delle più importanti[23], e che possono partitamente essere così indicate:

 

[PB1] Etica della Qualità della Vita; e,

[PB2] Teoria della Sacralità della Vita.

 

Ora, la prima presupposizione può essere indicata brevemente con EQV, mentre la seconda con TSV. Secondo una certa linea di pensiero la prima è, in genere, espressione di una bioetica che trae ispirazione dal pensiero laico, mentre la seconda, alla stessa maniera, è, in genere, espressione di una bioetica di ispirazione religiosa[24].

Ad ogni modo, è bene specificare come tanto [PB1] quanto [PB2] sono due cornici teoriche che contengono molte presupposizioni ulteriormente articolate al loro interno e che, solo in un’ottica d’insieme, possono venir ricondotte ad unità, rispettivamente nelle forme dell’EQV e della TSV.

Più specificatamente, quel che la presupposizione bioetica indicata come EQV dice è sostanzialmente quanto segue:

 

a)    La morale ha un’origine totalmente umana (vale a dire che l’uomo è il legislatore delle norme di condotta);

b)    Non esiste alcuna “natura” (in altre parole, non esiste alcuna natura dalla quale derivare indicazioni sui progetti esistenziali di singoli e gruppi);

c)    Fondamentale è il principio di “autonomia” (infatti, essendo l’uomo legislatore di sé stesso, egli è autonomo e può, anzi deve, agire etsi Deus non daretur);

d)    La vita è disponibile (ossia il singolo ha il possesso del proprio corpo, dei propri status personali, della propria vita, in tutte le forme e dimensioni che viene ad assumere);

e)    La conoscenza è un mezzo di progresso (in altri termini, ogni riflessione sulle condotte possibili deve tenere fermo il punto cruciale che fine delle nostre cognizioni è il progresso; dunque, non è accettabile una bioetica che prescindesse dalle conoscenze scientifiche[25]);

f)     La sofferenza non è utile (vale a dire che la sofferenza non è auspicabile né può in qualche modo essere ritenuta utile nel complesso di vita dei singoli; di conseguenza, va rimossa);

g)    Persona si diventa, non la si è in partenza (in altre parole, il singolo non è persona in quanto tale, per il fatto che esiste, ma lo diventa progressivamente; esiste, dunque, una sostanziale gerarchia tra viventi: alcuni sono più persone di altre);

h)   Il pluralismo è l’ordine del reale (ossia le opinioni delle chiese, ancorché importanti nell’ambito della discussione pubblica, sono pareri di minoranza e devono, dunque, cedere il passo al pluralismo multiculturale delle società occidentali, abbandonando qualsiasi pretesa di verità).

 

Quel che la presupposizione bioetica indicata come TSV dice è, invece, quanto segue:

 

1)    L’etica ha origine “divina” (ossia, l’uomo trae massime per la propria condotta dall’origine “divina” del proprio essere);

2)    Si deve cogliere un collegamento con la “natura” (in altre parole, la natura esiste ed è il metro di valutazione dei comportamenti umani);

3)    L’uomo non ha alcuna autonomia (in altri termini, l’uomo dipende, e fortemente, dal volere della divinità);

4)    La vita non è disponibile (vale a dire che l’uomo usufruisce della propria vita, ma non può disporne in contrasto con l’ordine secundum naturam);

5)    La sofferenza, per quanto non desiderabile, fa parte dell’ordine delle cose (in altre parole, la sofferenza va, dunque, accettata quando occorre);

6)    Si è persone da quando si esiste, non si diviene progressivamente (ossia, ciascuno di noi è in partenza una persona, per il semplice fatto che siamo).

 

Pertanto, sebbene i due elenchi non siano tra loro perfettamente paritetici, emerge abbastanza chiaramente come la presupposizione EQV abbia come componenti essenziali: (i) il riconoscimento del primato dell’utilità pratica nella vita dei soggetti; (ii) l’autonomia del soggetto nello scegliere cosa fare della propria vita[26]; e, (iii) il riconoscimento di un primato del progetto di vita nel costituirsi della personalità.

Al contrario, la presupposizione TSV ha come suoi componenti essenziali: (w) il riconoscimento del valore intrinseco della vita dei soggetti; (ww) la responsabilità del soggetto nello scegliere cosa fare della propria vita rispetto all’ordine naturale; e, (www) il riconoscimento di un primato (ontologico) della personalità che accompagna tutti i singoli dal momento della nascita.

Il fatto che sovente l’EQV sia accostata alla forma mentale del laicismo e che, di conseguenza, la TSV sia a sua volta accostata alla religione deriva dai caratteri propri delle due presupposizioni, tra loro concorrenti e confliggenti. Tuttavia, è anche vero che la stessa TSV, ove si sostituisce al riferimento diretto ad un ordine trascendente un più vago, e terreno, ordine naturale[27], può benissimo essere considerata una posizione laica[28]. D’altra parte, il suo accostamento alla religione è dovuto a ragioni interne al dibattito italiano ove importa più il riconoscimento dell’appartenenza a gruppi cui contrapporsi che riconoscere interni elementi di pregio e, soprattutto, di coerenza.

In realtà, il fatto che siano due presupposizioni, che producono differenti, e contrapposte, argomentazioni bioetiche, dovrebbe indurre a ritenere che quel che cambia è il frutto dell’elaborazione antropologica del rapporto tra la natura e la tecnica, tra l’ordine delle cose e la possibilità che abbiamo di modificarlo. Infatti, a causa dell’invasione tecnologica, non abbiamo più di fronte a noi soltanto un ordine naturale (quasi) immodificabile, ma anche la concreta possibilità di intervenire in esso per dirigerlo verso altri esiti. Allora, mentre la coscienza antropologica in passato si limitava a trarre dalla natura un ordine regolarizzante la condotta umana, adesso la stessa può legiferare senza tener in alcun conto la natura medesima. Così, si ottiene che l’antropologia offre risposte diverse[29] a seconda che, rispettivamente, si attribuisca maggior importanza all’autonomia umana o al corso naturale.

In questo modo, passando per il guado della terra di mezzo tra la natura e la tecnica, ecco che la cultura umana offre risposte differenti a domande che scottanti sorgono nelle nostre pratiche umane[30]. Infatti, cosa si deve fare al capezzale di un malato terminale? Cosa si deve fare davanti alla possibilità di un nato malformato? Cosa si deve fare nel caso in cui la procreazione naturale può far generare individui affetti da gravi malattie genetiche? Cosa fare nel caso di individui con encefalogramma piatto? Cosa fare con i resti di feti abortiti? Cosa fare con embrioni crioconservati e non più vitali? Cosa fare con la possibilità che tutti i tessuti umani possano essere utilizzati nei trapianti? Molte altre sono certamente le possibili questioni bioetiche[31] ma tale elenco è di per sé sufficiente a far cogliere la profonda difficoltà suscitata dalla rivoluzione scientifica. Rispetto ad esse, dato che è importante operare una scelta, e lo si fa secondo opzioni antropologiche ben precise, magari non dichiarate ma che ciascuno considera vere, si deve seguire un criterio di utilità che massimizzi la qualità della vita dei singoli, ed è il caso della presupposizione antropologica [PB1], oppure si deve seguire un criterio che consideri inviolabile qualsiasi vita umana, a prescindere da quale manifestazione assuma, ed è il caso della presupposizione [PB2]?

 

4. La forma logica dei giudizi bioetici.

 

Assumendo che dietro ogni decisione morale, risolvente un dilemma provocato da un particolare caso bioetico, ci sia un giudizio, ossia un ragionamento, molto schematicamente è possibile considerare le rispettive forme logiche delle argomentazioni bioetiche. Non ci dilunghiamo su di esse, ma, molto schematicamente, osserviamo come la loro presentazione consenta di cogliere la fisiologia delle presupposizioni epistemiche nella decisione bioetica.

Un’argomentazione bioetica potrebbe essere la seguente:

 

[AB1]

 

1.    Se il caso X può essere risolto secondo i principi (a) – (h) e (i) – (iii), allora si darà la soluzione Y;

2.    Il caso X è risolvibile in accordo ai principi (a) – (h) e (i) – (iii);

3.    (allora) si dà la soluzione Y.

 

Oppure, si potrebbe avere la forma seguente:

 

[AB2]

 

      I.    Se il caso W può essere risolto secondo i principi (1) – (6) e (w) – (www), allora si darà la soluzione J;

    II.    Il caso W è risolvibile secondo i principi (1) – (6) e (w) – (www);

   III.    (allora) si dà la soluzione J.

 

Al di là della specifica forma logica di tali ragionamenti, il cd. Modus Ponendo Ponens, e al di là della possibile obiezione di una loro eccessiva astrattezza, emerge con forza “come” agiscano le varie presupposizioni epistemiche nella formulazione dei ragionamenti bioetici, quegli stessi che informano le discussioni intorno allo statuto, e definizione, della disciplina.

Quel che un’ottica epistemica offre è, dunque, la seguente considerazione ulteriore a partire dalla quale considerare il problema definitorio in bioetica: quando si opera una scelta bioetica, è importante quanto è (tecnicamente) possibile o quanto è giusto fare?[32] In effetti, sembra quasi che la veemenza del dibattito bioetico si concentri tutta qui: nella tensione tra le possibilità teoriche e le (loro) bontà pratiche[33].

5. Conclusioni.

 

Come si diceva in precedenza, e come è oramai chiaro, delucidare i presupposti epistemici non fornisce direttamente una definizione di bioetica, ma consente di “chiarire” i termini del discorso all’interno del quale viene definita la disciplina. Infatti, se varrà la presupposizione [PB1], producendo l’argomentazione bioetica esemplificata con [AB1], si dirà, grosso modo, che la bioetica è quella disciplina che, basandosi sull’autonomia dell’individuo, sulle sue aspettative qualitative e sulle possibilità della tecnica, consente di scegliere nei singoli casi quale condotta adottare. Analogamente, ma con un impianto valoriale assolutamente altro, se non contrapposto, valendo la presupposizione [PB2], producendo l’argomentazione bioetica esemplificata con [AB2], si dirà, grosso modo, che la bioetica è quella disciplina che, basandosi sull’ordine naturale, sulla dignità della persona umana e affermante la necessità di una regolazione etica della tecnologia, nei casi controversi ci dice qual è la condotta giusta.

Prima di concludere è però bene ricordare due elementi che vengono lasciati in ombra nel presente lavoro. In primo luogo: le presupposizioni indicate sono solo due tra le molte disponibili. In termini più generali, ciò vuol dire che a seconda della presupposizione epistemica, di origine antropologica, si fornisce una ben precisa definizione di bioetica. In secondo luogo: non compete al presente lavoro stabilire una questione ulteriore circa la possibilità che, nel giudicare dei singoli casi, chi giudica aderisca preliminarmente all’una o all’altra opzione assiologica, espresse rispettivamente nei termini di presupposizioni [PB1] e [PB2].

Tuttavia, resta da indagare la maniera attraverso la quale gli uomini derivano conseguenze antropologiche dall’esame della realtà. Questo compito, però, esula dalle finalità del presente scritto.

 


 


* Alessandro Pizzo è Dottore di Ricerca in Filosofia c/o Università degli Studi di Palermo.

 

[1] Cfr. D. Neri, La bioetica in laboratorio. Cellule staminali, clonazione e salute umana, Laterza, Roma – Bari, 20052, p. 116: «lo sfondo temporale [di nascita] è quello della seconda metà degli anni Sessanta (…) il periodo in cui si rende evidente un profondo mutamento di clima culturale, di mentalità e di costumi sociali».

[2] Cfr. Introduzione, a: M. Mori (ed.), Questioni di bioetica, Riuniti, Roma, 1988, p. 7:«Negli ultimi decenni la biologia, la medicina e le altre scienze della vita hanno compiuto progressi straordinari, rendendo possibile cose un tempo impensabili. Tuttavia, tali avanzamenti sono venuti a sollevare nuovi e urgenti problemi morali o a reimpostare in forma rinnovata problemi di lunga tradizione».

[3] Cfr. R. M. Hare, Perché occuparsi di etica applicata?, in M. Mori (ed.), p. cit., p. 19 e sgg.

[4] Cfr. G. Fornero, Bioetica cattolica e bioetica laica, Bruno Mondatori, Milano, 2005, p. 1 e sgg.

[5] Cfr. M. Aramini, Introduzione alla bioetica, Giuffré, Milano, 20032.

[6] Cfr. Introduzione, a: M. Mori (ed.), op. cit., p. 8.

[7] Cfr. G. Fornero, op. cit., p. 2.

[8] Cfr. F. Petrelli, La bioetica tra filosofia, medicina e diritto, “Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia” [in linea], anno 4 (2002) [inserito il 26 luglio 2002],  ISSN 1128-5478 (consultabile all’indirizzo http://mondodomani.org/dialegesthai/fp02.htm).

[9] Cfr. E. Lecaldano, La sfida dell’etica applicata e il ragionamento in morale, in M. Mori (ed.), op. cit., p. 37 e sgg.

[10] Cfr. E. Lecaldano, La bioetica. Scelte morali, Laterza, Roma – Bari, 19992. D’altro canto, si richiede la presenza di strumenti che consentano di coniugare la rivoluzione culturale, alla quale assistiamo e, in certa misura, alla quale partecipiamo, con le innate esigenze umane di dignità e rispetto. Anzi, proprio questo obiettivo può essere considerato il fronte teorico all’interno del quale elaborare una definizione di bioetica. Per dirla con U. Scarpelli, Bioetica a misura di persona, in U. Scarpelli, Bioetica laica, Baldini & Castoldi, Milano, 1998, p. 29: «La bioetica è un duplice rigore, della scienza e della morale, ma è anche il calore della vita».

[11] Cfr. E. Agazzi (ed.), Quale etica per la bioetica?, Angeli, Milano, 1990.

[12] Cfr. E. Sgreccia, Bioetica del quotidiano, Vita e Pensiero, Milano, 2005.

[13] Cfr. M. Galletti, Bioetica, in L. Floridi (a cura di), Linee di Ricerca, SWIF, 2006, p. 1029: «Le nuove tecnologie che, a partire dagli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, offrono una straordinaria capacità di intervenire sulla vita biologica sollevano molti interrogativi etici. In breve la riflessione critica sulla rivoluzione bio-medica tende a mettere in discussione l’astratto imperativo per cui “tutto ciò che è tecnicamente possibile è moralmente doveroso”. La bioetica è la riflessione sull’accettabilità di pratiche vecchie e nuove».

[14] Cfr. K. E. Tranøy, Conflitti di valori biomedici, in M. Mori (ed.), op. cit., p. 73 e sgg.

[15] Cfr. A. Santosuosso, Paternità e nuove tecniche di riproduzione, “Politica del diritto”, 4, 1995, p. 619: «Le nuove tecnologie riproduttive si diffondono contemporaneamente all’emergere di alcuni fenomeni ai quali vengono di solito collegati: la disponibilità di nuove tecnologie che rendono possibile il tentativo di fecondazione in condizioni fino a ieri impensabili».

[16] Cfr. A. Pizzo, Antropologia e nuovi diritti, “Diritto & diritti. Electronic Law Review”, Ragusa, Gennaio 2007, ISSN: 1127 – 8579 (contenuto raggiungibile all’indirizzo: http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/23450.html). Cfr. S. Levine, Chi muore? Quando si muore. Una ricerca sul vivere e sul morire consapevoli, Ed. Sensibili alle foglie, 2002.

[17] Cfr. C. Flamigni, Il libro della  procreazione. La maternità come scelta: fisiologia, contraccezione, fecondazione assistita, Mondatori, Milano, 2005, p. 20: «Era inevitabile che questo rapido accumulo di conoscenze trascinasse con sé problemi diversi, apparentemente non correlati tra loro: problemi deontologici, etici, religiosi, economici».

[18] Cfr. A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, “Rivista di diritto civile”, I, 1986, p. 495: «è stato detto che la rivoluzione conseguente alle possibilità che scienza e tecnica offrono alla genetica umana può ben definirsi una nuova rivoluzione copernicana: rivoluzione, questa, anche più radicale, se destinata a modificare gli sviluppi della nostra stirpe sulla terra». In particolar modo, è bene notare come, nonostante le virulenti polemiche suscitate in Italia dall’approvazione della L. n. 40/2004 sulla riproduzione medicalmente assistita, l’intento del legislatore sia stato improntato alla valorizzazione di un bene indisponibile: la vita umana.

[19] Cfr. M. Aramini, op. cit., p. 64: «la bioetica, rispetto alla Medicina Legale e alla Deontologia Medica, è una disciplina «più eminentemente autonoma e di più ampio respiro che, con la sua metodologia e con i risultati a cui giunge, contribuisce all’aggiornamento e alla giustificazione epistemologica della normativa deontologica, all’orientamento della elaborazione legislativa, ed all’inquadramento degli interventi sulla vita umana nell’ambito più ampio della biosfera di cui discute criteri e limiti di liceità»».

[20] Cfr. L. Palazzani, Biogiuridica, Milano, 2002.

[21] Cfr. G. Savagnone, Alle spalle del dibattito bioetico, “Questioni di bioetica”, I, 2, 2007, ISSN 1970-7932 (contenuto on – line: http://www.thomasinternational.org/it/assthomint/qdb/200701/200701savagnone01.htm): «Tra i problemi che stanno alle spalle del dibattito bioetico e che ne condizionano alla radice lo svolgimento non ci sono solo il modo di intendere il rapporto tra la ragione e le scelte morali, o tra la ragione e la fede, ma anche quello del significato della legge. Un primo equivoco, a questo proposito, riguarda il rapporto di quest’ultima con quello che viene presentato come il “diritto” di singoli o  gruppi di vedere riconosciute le proprie istanze».

[22] Cfr. A. Cafaro – F. Di Blasi, Presentazione, “Questioni di bioetica”, I, 0, Maggio 2006,  ISSN 1970-7932: «L’etica, però, proprio perché “scienza pratica” che cerca soluzioni su come agire, è preoccupazione primaria di chi deve prendere decisioni» (contenuto on – line: http://www.thomasinternational.org/it/assthomint/qdb/presentazione.htm).

[23] Cfr. G. Fornero, op. cit., p. 15: «due grandi modelli teorici».

[24] Cfr. G. Fornero, op. cit., p. 80 e sgg.

[25] Cfr. D. Neri, op. cit., p. 112.

[26] Cfr. G. Modica, Imprescindibilità della coscienza morale, “Questioni di bioetica”, 4, 2007, ISSN 1970-7932 (contenuto on – line: http://www.thomasinternational.org/it/assthomint/qdb/200709/200709editoriale.htm) : «Non c’è problema affrontato dalla bioetica che non chiami in causa la coscienza morale».

[27] Collegandosi alla metafisica, la bioetica ispirata dal modello della TSV è perfettamente laica. Cfr. G. Fornero, op. cit., p. 27: essa è «quella peculiare dottrina etico-metafisica (…) sulla scorta di un impianto concettuale di matrice greco-scolastica e di una visione finalistico-provvidenziale del mondo».

[28] Cfr. G. Fornero, op. cit., p. 14: esistono «tante bioetiche quante sono le etiche».

[29] D’altra parte, come s’è detto in precedenza, sia pure in forma non adeguatamente sviluppata, è profondamente mutata nel tempo attuale la concezione culturale della vita umana. Cfr. V. Possenti, Cambiare la natura umana? Biotecnologie e questione antropologica¸ “Questioni di bioetica”, I, 2, 2007, ISSN 1970-7932 (contenuto on – line: http://www.thomasinternational.org/it/assthomint/qdb/200701/200701possenti01.htm): «Larga parte della discussione morale e antropologica contemporanea scaturisce dagli sviluppi incalzanti delle scienze della vita e delle neuroscienze: stiamo assistendo ad una vera rivoluzione che concerne le sorgenti della vita e che potremmo chiamare rivoluzione del genoma e del DNA. Essa rimette in discussione le nozioni di identità (chi siamo come uomini? Chi sono io?), di rispetto della persona, di responsabilità verso se stessi e gli altri, che costituiscono la base della civiltà».

[30] Cfr. J. Habermas, Antropologia, in G. Preti (ed.), Filosofia, Feltrinelli, Milano, 19702, p. 19.

[31] Un esempio è quello della «maternità surrogata». Cfr. A. Pizzo, Una questione bioetica: la maternità surrogata. Problematiche e prospettive, “Dialegesthai”, 8, 2006, ISSN 1128-5478 (contenuto on – line: http://mondodomani.org/dialegesthai/ap03.htm).  

[32] Cfr. M. Galletti, op. cit., p. 1030: «è possibile raggiungere soluzioni condivise sulle questioni di vita e di morte tra individui che vivono in società moralmente pluraliste e frammentate?». Cfr. L. Sesta, Per una soluzione dei dilemmi morali della bioetica: “mettersi d’accordo” o “fare la cosa giusta”?, “Questioni di bioetica”, I, 0, 2006, ISSN 1970-7932 (contenuto on – line: http://www.thomasinternational.org/it/assthomint/qdb/200604/200604sesta01.htm) quando scrive che: «La bioetica del compromesso (o bioetica procedurale del consenso), infatti, non considera più l’etica come una riflessione su cosa è bene e su cosa è male, ma come uno strumento di calcolo e di negoziazione pacifica tra interessi individuali e concezioni private circa il senso della vita, della salute ecc. Una negoziazione che non investe solo i problemi pratici legati all’azione, ma anche le questioni teoriche che vi stanno alla base. Così, se per esempio “la questione dell’embrione” consiste nello “stabilire quando comincia una nuova vita personale”, dalla molteplicità e inconciliabilità delle risposte e delle conseguenti indicazioni comportamentali si dovrà concludere che non rimane altra soluzione che quella di “cercare una civile, serena e laica mediazione che consenta a tutte le posizioni di convivere, eliminando – ogni parte con qualche rinuncia – le più evidenti ragioni di attrito”».

[33] Cfr. E. Agazzi, Il luogo dell’etica nella bioetica, in E. Agazzi (ed.), op. cit., p. 13: la possibilità di molte pratiche non è garanzia di buona scelta, «nessuna di esse indica che cosa “si deve” o “non si deve”, che cosa “è lecito” o “non è lecito fare”». Cfr. D. Clerici, Procreazione artificiale, pratica della surroga e contratto di maternità, “Diritto di famiglia e delle persone”, 1987,, pp. 1011 - 1012: «Dal punto di vista giuridico, le nuove frontiere dell’ingegneria genetica sollevano gravi questioni in materia di diritto di famiglia, in particolare in ordine al rapporto di filiazione, ed anche di diritto successorio. Il compito del legislatore consterà dunque nel dettare una regolamentazione della materia che trovi un punto di equilibrio tra l’esigenza di procreare a tutti i costi, ed il diritto del nascituro alla certezza dell’identità dei propri genitori. La normativa dovrà, da un lato, tracciare i limiti entro i quali le nuove tecniche potranno operare, e, dall’altro, prevedere una rigorosa disciplina della materia sorta in conseguenza di tali interventi». Cfr. M. L. Boccia – G. Zuffa, L’eclissi della madre. Fecondazione artificiale, tecniche, fantasie e norme, Pratiche editrice, Milano, 1998, pp. 56 – 7: «un tempo l’ineluttabilità della procreazione rendeva accettabile anche l’ineluttabilità della mancanza di figli. Oggi invece la procreazione è campo di dominio e di realizzazione individuale: il desiderio di procreare, se insoddisfatto, è avvertito come una grave menomazione soggettiva (…) il desiderio irrealizzato è percepito come malattia e sofferenza».

 
     
     
     
 
 
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