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ISSN 1970-7932

Associazione Thomas International
Num. 6 - Maggio 2008 
     
 

Gran Bretagna: Niente più padri né madri ma "genitori"

Febbraio 2008. Nelle scuole britanniche non si potrà più dire 'mamma' e 'papà. Il ministero dell’Istruzione prepara una direttiva in questo senso. Si potrà dire soltanto 'genitori', per rispetto di quegli alunni che si trovino ad avere a casa una coppia di madri lesbiche, o una coppia di padri gay, o ogni altra di quelle declinazioni di 'famiglie', rigorosamente al plurale, di cui la Gran Bretagna è antesignana e maestra. Due anni fa andò sui tabloid inglesi la storia di una coppia gay in cui un partner, in procinto di diventare chirurgicamente donna, congelò il proprio seme per potere essere biologicamente padre grazie a una donna che 'prestasse' il suo utero. Una situazione ingarbugliata per il nascituro: papà e la donna che lui chiama mamma erano la stessa persona. Per evitare, in questa crescente complessità, traumi ai ragazzini dunque il Ministero taglia la testa al toro: di dice 'genitori', e basta, mai più padre e madre.

Ricordarsi di Huxley è inevitabile: quella parola, 'mamma', che ne 'Il mondo nuovo' genera pudichi gridolini di orrore - come di dame vittoriane davanti a qualcosa di sconveniente ¬perché quel mondo nuovo i figli li fabbrica con una catena di montaggio, e l’idea di una procreazione carnale s’è fatta indecente. Ma l’editto del Ministero non ce l’ha solo o tanto con la mamma, ma anche e altrettanto con il papà.
Anzi, forse di più. Il padre, alla cultura del 'gender' - cioè della identità sessuale definita come pura scelta culturale, e non come dato originario - risulta ancora più antipatico della mamma. Il padre è archetipo di autorità e autorevolezza, e dunque di maschilismo. Il padre va spazzato via: concretamente - come in quel sito web inglese 'Man not included', 'Uomo non incluso', che vendeva on line seme anonimo per aspiranti madri autarchiche; e anche culturalmente, e perfino spiritualmente. La nuova versione del Nuovo testamento dell’Università di Oxford, - il faro della cultura occidentale - così trascrive il Padre Nostro: 'Padre/Madre nostra che sei nei cieli'. Oppure, Gesù ai genitori, nel Tempio: 'Perché mi cercate? Non sapevate che io ero nella casa del Padre/Madre?' La 'grida' del Ministero per l’Istruzione britannico può fare sorridere. E però, dietro l’idiozia di pensare di proibire ai ragazzi di dire 'mamma', sta, sotto le garbate apparenze del politically correct, una pretesa dura e brutale. Non dite madre, non dite padre, questi sono stereotipi, ruoli imposti da una tradizione oscurantista. Nel nuovo mondo la cultura del 'gender' disfa tutto: le madri non sono necessariamente donne, i padri non sono obbligatoriamente uomini, e di padri se ne può avere due e di madri nessuna, o viceversa, a piacere - a piacere, si intende, non dei figli, ma di chi più o meno naturalmente li mette al mondo
(da “Avvenire” 22/02/2008).

 
 
 
 

Francia e Belgio: Continua il dibattito sull'eutanasia

Marzo 2008. La francese Chantal Sèbire è morta per aver ingerito un dose letale di barbiturici. Questo il risultato dell'autopsia. La donna, sfigurata in volto a causa di una rara forma di tumore, nei giorni passati aveva chiesto inutilmente al presidente francese Sarkozy e ai magistrati il diritto all'eutanasia. Il 19 marzo è stata poi trovata morta nella sua abitazione. Ora si tenta di capire in che modo Chantal sia riuscita a procurarsi il potente veleno, si tratta infatti di un 'barbiturico ad azione rapida che non è usato in ambiente medico e non è venduto in farmacia' come ha sottolineato il procuratore della repubblica di Digione che sta indagando sul caso. In Belgio, invece, lo scrittore Hugo Claus, affetto da morbo di Alzheimer, ha potuto farsi dare la morte: «Non ha voluto prolungare la sua sofferenza — ha detto la sua terza moglie, Veerle De Wit — e ha scelto lui il momento della sua morte, in lucidità».

A commento dei due casi, riportiamo alcune riflessioni di Francesco D’Agostino: «I fautori del¬la legalizzazione dell’eutanasia amano portare esempi di alcuni, singoli pazienti, la cui decisio¬ne di porre termine alla loro vita appare conso¬lidata e irreversibile. Raramente essi considera¬no la situazione della stragrande maggioranza dei malati oncologici e terminali, la cui autenti¬ca volontà non è quella di morire al più presto, ma si riassume nel semplicissimo desiderio di non essere abbandonati, né da amici e familia¬ri, né dai medici. Ogni legislazione eutanasica – per il solo fatto di essere, come tutte le legislazioni, generale ed astratta – non può che burocratiz¬zare i processi ai quali si riferisce e non può non trasformare singoli casi umani, unici nella loro drammaticità, in casi 'statistici'. Non so se Hu¬go Claus fosse davvero competente, quando ha chiesto l’eutanasia; il solo fatto che fosse colpito dall’Alzheimer mi induce a dubitarne. Ciò però che so è che la sua richiesta, nella logica buro¬cratizzante della legge, corre il rischio di diveni¬re 'esemplare' e di essere sottoposta a tutti gli al¬tri malati, nelle sue stesse condizioni, come una richiesta meritevole di attenzione o addirittura di elogio.
Abbandonare i malati e poi indurli indiretta¬mente (ma a volte anche esplicitamente: si vada a vedere quel piccolo, recente capolavoro che è il film 'La famiglia Savage') a rinunciare alle te¬rapie o a chiedere di lasciare al più presto questa vita: questo è il rischio più subdolo e più ignobi¬le che si nasconde dietro le innumerevoli pres¬sioni che si stanno moltiplicando in questi anni a favore di un’eutanasia legalizzata»
(F. D’Agostino, Quel tranello rende plausibile l’eutanasia, “Avvenire” 22/03/2008).

 
 
 
 

Strasburgo: Via libera al "diritto" di aborto

Aprile 2008. L'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha approvato il 16 aprile scorso la risoluzione 1607 che invita i 47 Stati membri a orientare, laddove necessario, la propria legislazione in maniera da garantire effettivamente alle donne "il diritto di accesso all'aborto sicuro e legale". Il documento è stato approvato con 102 voti a favore, 69 contrari e 14 astenuti, dopo un lungo dibattito che ha deciso sull'inclusione nel testo provvisorio di ben 72 emendamenti proposti in precedenza.

Riportiamo alcuni brani tratti da un commento di Elio Sgreccia: «La risoluzione approvata inizia ribadendo il principio che in nessuna circostanza l'aborto deve essere inteso come un mezzo di pianificazione familiare e che, nei limiti del possibile, esso deve essere evitato (cfr n. 1). A tal fine, la risoluzione raccomanda che sia messo in atto ogni mezzo, purché compatibile con i diritti delle donne, per ridurre sia le gravidanze indesiderate che gli aborti stessi. Sembra dunque che, almeno in linea di principio, l'introduzione del documento riconosca e affermi chiaramente che l'aborto è una realtà in se stessa negativa, da evitare nei limiti del possibile con ogni sforzo.
Nel testo viene poi ricordata la presenza nella maggior parte degli Stati membri di dispositivi di legge che, sotto precise condizioni e circostanze, "permettono" l'aborto nei casi previsti. È qui che la risoluzione manifesta una preoccupazione concreta: il pericolo che in alcuni dei Paesi del Consiglio europeo dove l'aborto è permesso, di fatto, non possa essere garantito alle donne che lo richiedessero "un effettivo accesso ai servizi per l'aborto che siano sicuri, sostenibili, accettabili ed appropriati" (n. 2), e ciò a causa di condizioni eccessivamente restrittive previste dalle apposite disposizioni legislative, che finirebbero per provocare effetti discriminatori tra le donne. Ed è proprio a questo punto che nel testo spunta la parola "diritto", riferito all'effettivo accesso all'aborto. Ciò stupisce in quanto è la prima volta che in un documento ufficiale del Consiglio d'Europa - così come in quelli delle Nazioni Unite - si parla dell'aborto come di un "diritto". Dal punto di vista legislativo, infatti, una cosa è permettere o depenalizzare l'aborto effettuato in determinate circostanze, altro è definirlo come un "diritto", a cui dovrebbe logicamente corrispondere anche un "dovere" di tutela del medesimo. Ma è davvero possibile postulare fondatamente un "diritto all'aborto"? Su quali basi si potrebbe giustificare il diritto di interrompere la vita di un essere umano innocente e, per di più, debole e indifeso? A meno di adottare criteri antropologici discriminatori e arbitrari, che non riconoscano a ogni essere umano uguale dignità e diritti fondamentali, questa pretesa è del tutto infondata e arrogante; essa può essere giustificata solo da impostazioni di pensiero fortemente ideologiche e parziali, che non pongono la persona umana - o almeno, non ogni singola persona umana - come fine ultimo e misura della vita sociale, e quindi della regolazione legislativa.
Anche l'affermazione che "l'aborto non deve essere vietato entro limiti gestazionali ragionevoli" (n. 4) suscita domande e perplessità. La ragionevolezza cui si fa riferimento, infatti, sembra essere commisurata su motivi riguardanti esclusivamente la salute della donna ed i costi sociali. Nulla si dice invece sulla realtà dell'essere umano (embrione) da abortire, la cui dignità essenziale è legata alla sua stessa natura, al fatto stesso di appartenere alla specie umana e non alle tappe del suo sviluppo biologico. In relazione al suo "diritto" di tutela della vita, dunque, non esistono e non possono esistere "limiti gestazionali ragionevoli" entro i quali sia possibile derogare a tale diritto fondamentale, poiché la vita umana individuale possiede il suo valore peculiare ed inalienabile in ogni momento della sua storia personale.
Nella stessa direzione, proseguendo nella lettura della risoluzione 1607, un altro elemento crea forti perplessità; si tratta della riaffermazione (cfr n. 6), di per sé opportuna e giusta, del diritto di ogni essere umano - e non si capisce perché il testo senta il bisogno di specificare "incluse le donne", cosa che appare del tutto scontata e, quindi, offensiva nei confronti delle donne stesse - al rispetto della propria integrità fisica e alla libertà della gestione del proprio corpo. Sulla base di questa affermazione, il testo conclude che "la decisione ultima di ricorrere o no all'aborto è una questione che appartiene alla donna interessata, la quale deve avere i mezzi per esercitare questo diritto in maniera efficace". La conclusione non sembra del tutto coerente con l'affermazione di principio iniziale. Se, infatti, viene riconosciuto il diritto alla tutela dell'integrità corporea di ogni essere umano, ciò va rivendicato appunto per tutti gli esseri umani, senza distinzione; ora, nel caso dell'aborto, la donna è solo uno degli esseri umani direttamente coinvolti, non l'unico. Anche il figlio, embrione o feto, lo è. Se è sacrosanto rivendicare il rispetto per l'integrità corporea della madre, altrettanto lo è affermare e rivendicare quella del figlio, tanto più che quest'ultimo non è in condizioni di reclamare e difendere da solo i propri interessi. Nel caso dell'aborto, da questo punto di vista vi sono due fronti d'interesse da far convergere e tutelare insieme: la salute della madre e quella del figlio. Il concepito non può certo essere ridotto a "parte del corpo della donna gravida", come ormai dimostra senza alcuna ragionevole incertezza la più moderna embriologia. La risoluzione 1607 glissa troppo velocemente su questo fondamentale aspetto, tentando di far passare come del tutto scontate affermazioni di significato antropologico e valoriale che sono invece del tutto discutibili, se non altro in nome di quel pluralismo di pensiero tanto rivendicato proprio dai sostenitori di queste affermazioni. Di conseguenza, è del tutto artificiale e "populistica" la reiterata accusa, mossa alla Chiesa cattolica da parte di alcuni parlamentari in sede di discussione del documento, di agire e parlare col fine di "privare le donne del loro diritto più fondamentale: quello di disporre del loro corpo". Un'idea del genere è assolutamente estranea all'insegnamento e agli intenti della Chiesa, ma soprattutto rappresenta una palese riduzione distorsiva della realtà: l'aborto volontario non può essere ridotto a una mera questione di gestione del corpo della donna; esso, infatti, include allo stesso tempo la drammatica scelta di distruggere una vita umana, quella del figlio, il cui valore di fondo è pari a quello della madre.
(E. Sgreccia, La risoluzione sull'aborto del Consiglio d'Europa. Un'affermazione contraria ai diritti umani, “L'Osservatore Romano” 27/04/2008).

 
 
 
 

Gran Bretagna. Fecondazione artificiale senza padre

Maggio 2008. Dopo il sì alla creazione di embrioni ibridi uomo-bovino e il via libera alla creazione di fratellini «salvatori», la Camera dei Comuni britannica ha continuato ieri ad “aggiornare” le norme sulla fecondazione artificiale e sull’embriologia. È caduta così un’altra barriera: l’abolizione della figura paterna come pre-requisito per l’accesso delle donne alla fecondazione assistita. Con 292 voti contro 217 la Camera dei Comuni, dopo un aspro dibattito in aula, ha giudicato non indispensabile la figura del padre nel procedimento della fecondazione in vitro. La legislazione richiedeva finora alle cliniche di considerare come prioritario il «benessere» del bambino, comprendendo in questo principio anche la presenza di un padre accanto alla madre. La nuova norma, invece, sostiene che il bambino debba semplicemente avere il «supporto dei genitori», non specificando, appunto, la necessità del padre stesso. Un aspetto fortemente contestato in aula da diversi deputati, come il conservatore Patrick Cormack, che ha sottolineato come non sia possibile eliminare la figura paterna se non a costo di sfavorire la crescita equilibrata dei bambini. I sostenitori della norma hanno affermato invece che si «metterà così fine alla discriminazione verso le coppie lesbiche» (o le donne single) che vogliono un figlio con la fecondazione in vitro. L’altra notte, invece, dopo il voto sugli embrioni ibridi, i deputati avevano dato il via libera anche ai cosiddetti fratellini «salvatori», pre-selezionati in vitro e creati allo scopo di fornire tessuti e organi per curare le eventuali patologie di quelli nati. La maggioranza dei voti a favore è stata schiacciante: 342 voti contro i 163 deputati che avevano appoggiato il divieto per tale pratica. Un distacco addirittura superiore a quello registrato per gli embrioni-chimera (336 contro 176).

A quest’ultimo riguardo, è rimasto inascoltato l’appello del deputato conservatore David Burrowes, che aveva giudicato sbagliata la creazione di un bambino con il solo scopo di dare beneficio a un altro. Considerazioni che il laburista Des Turner aveva rigettato sostenendo che «molti bambini moriranno se non potranno essere curati» grazie a tessuti e organi dei «fratellini» appositamente creati. E l’ex ministro laburista George Howarth aveva parlato di un «forte imperativo morale» a sostegno delle misure contenute nella nuova norma. In precedenza era stato invece dato il via libera agli embrioni-chimera: la Camera dei Comuni aveva respinto un emendamento che avrebbe impedito agli scienziati di creare embrioni umani con parti di Dna animale a fini di ricerca. A favore del divieto si erano espressi ministri cattolici come Ruth Kelly, Des Browne e Paul Murphy. Il premier Gordon Brown, che ha votato contro il divieto così come il leader conservatore David Cameron, aveva lasciato libertà di coscienza ai propri deputati. Anche un secondo emendamento, che vietava «veri embrioni ibridi» (uova umane fertilizzate con sperma animale o viceversa), era stato bocciato subito dopo con 286 voti a 223.
Anche in questo caso il dibattito in aula è stato molto combattuto, con i favorevoli agli embrioni-ibridi che hanno sostenuto la causa della ricerca sulle staminali tratte dagli embrioni-chimera, che potrebbe portare a terapie per malattie al momento incurabili. I contrari – che avevano avuto il forte appoggio della Chiesa cattolica – hanno sottolineato le implicazioni etiche di quella che chiamano «scienza Frankenstein». Per i sostenitori della norma si è posto fine alle discriminazioni delle lesbiche ma per molti deputati sarà ora sfavorita la crescita equilibrata dei bambini
(P. M. Alfieri, La Gran Bretagna dice sì anche ai figli senza padre, “Avvenire” 21/05/2008).

 
 
 
     
 
 
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