La legge è
qualcosa che appartiene alla ragione?
Circa il primo punto procediamo così.
Sembra che la legge non sia qualcosa che appartiene
alla ragione. Dice, infatti, l’Apostolo nella Lettera
ai Romani (7, 23): «Vedo un’altra legge nelle mie
membra, ecc…» Ma niente che appartiene alla ragione
è nelle membra, poiché la ragione non si serve di uno
strumento corporeo. Dunque la legge non è qualcosa che
appartiene alla ragione.
2. Inoltre,
nella ragione non vi è nulla se non potenza, abito e atto.
Ma la legge non è la potenza stessa della ragione.
Similmente non è neppure un qualche abito della ragione,
poiché abiti della ragione sono le virtù intellettuali,
delle quali si è detto sopra (q. 57). E neppure è un atto
della ragione, perché, se lo fosse, cessando l’atto della
ragione, come nei dormienti, cesserebbe la legge. Dunque
la legge non è qualcosa che appartiene alla ragione.
3. Inoltre,
la legge muove ad agire rettamente quelli che ad essa sono
soggetti. Ma, come è chiaro dalle cose premesse (q. 9, a.1),
muovere ad agire appartiene propriamente alla volontà.
Dunque la legge non appartiene alla ragione, ma piuttosto
alla volontà, secondo quello che anche l’esperto di legge
dice: “ciò che piace al principe ha valore di legge” (D.
I, 4, 1).
Ma di contro vi è
il fatto che alla legge spetta ordinare e proibire.
Ma comandare, come sopra è stato stabilito (q.71, a.1), è
proprio della ragione. Dunque la legge è qualcosa che
appartiene alla ragione.
Rispondo dicendo
che la legge è una certa regola e misura degli atti
secondo la quale qualcuno viene spinto ad agire o distolto
dal farlo. La parola legge [lex] viene infatti da
legare [ligare], poiché obbliga [obligat]
ad agire. Ora, regola e misura degli atti umani è la
ragione che è il primo principio degli atti umani, come è
chiaro dalle cose dette prima. (q.1, a.1 ad 3) È proprio
infatti della ragione ordinare verso il fine, che è il
primo principio nell’ambito dell’agire [in
agendis], secondo il Filosofo (Phys. II, 9;
Eth. Nic. VII 8). D’altra parte, in ogni genere
di cose, ciò che è il principio, come l’unità nel genere
del numero e il primo movimento nel genere dei movimenti,
costituisce la misura e la regola di quel genere. Perciò
rimane che la legge è qualcosa che appartiene alla
ragione.
Risposta al primo
argomento: essendo la legge appunto regola e
misura, si dice che esiste in qualcosa in due modi. In un
modo, la legge esiste come in ciò che misura e regola; e
poiché questo è proprio della ragione, in questo modo la
legge è solo nella ragione. In altro modo, la legge esiste
come in ciò che è misurato e regolato; e così la legge è
in tutte le cose sono inclinate verso qualcosa da una
qualche legge: così qualsiasi inclinazione proveniente da
una qualche legge, può esser detta legge, non
essenzialmente ma in un certo qual modo per
partecipazione. E in questo modo la stessa inclinazione
delle membra alla concupiscenza viene chiamata «legge
delle membra».
Risposta al secondo
argomento: così come negli atti esterni si può
considerare l’operazione [operatio] e il
risultato di essa [operatum] – come, ad esempio, la
costruzione e ciò che è costruito – allo stesso modo nelle
opere della ragione si può considerare l’atto stesso della
ragione, che è comprendere e ragionare, e ciò che in tal
modo attraverso tale atto viene costituito. E questo
nell’ordine speculativo è in primo luogo la definizione,
in secondo luogo l’enunciazione, in terzo luogo senza
dubbio il sillogismo o argomentazione. E poiché anche la
ragione pratica si serve di una specie di sillogismo
riguardo alle azioni che possono essere realizzate [in
operabilibus], come sopra è stato trattato (q.13, a.3;
q.76, a.1) e secondo ciò che il Filosofo insegna nel
settimo libro dell’Etica Nicomachea, perciò
occorre rintracciare nella ragione pratica qualcosa che
stia alle operazioni, nello stesso rapporto in cui si
trova la proposizione rispetto alle conclusioni nella
ragione speculativa. E in tal modo le proposizioni
universali della ragione pratica ordinate all’azione,
hanno natura di legge [rationem legis]. E codeste
proposizioni talora sono considerate alla maniera
dell’atto [actualiter], talora la ragione le
possiede alla maniera dell’abito [habitualiter].
Risposta al terzo
argomento: la ragione, come è stato detto sopra (q.17,
a.1), dalla volontà riceve la forza di muovere: infatti a
partire dal fatto che qualcuno vuole un fine, la ragione
comanda circa quelle cose che sono in vista del fine. Ma
affinché la volontà delle cose che sono comandate, abbia
natura di legge [rationem legis], è necessario che
sia regolata da una qualche ragione. E in questo modo si
comprende che la volontà del principe ha vigore di legge:
altrimenti la volontà del principe sarebbe un’iniquità più
che una legge. |