Esiste una legge umana?
Circa il terzo punto procediamo così. Sembra che
non vi sia alcuna legge umana. Infatti la legge naturale è
partecipazione della legge eterna, come è stato detto (a.
2). Ma attraverso la legge eterna “tutte le cose sono
ordinate nel massimo grado”, come Agostino dice nel primo
libro del De Libero Arbitrio (c.6). Dunque, la
legge naturale è sufficiente per ordinare tutte le cose
umane. Non è, quindi, necessario che vi sia una qualche
legge umana.
2. Inoltre, la legge
ha carattere di misura [rationem mensurae],
come è stato detto. Ma la ragione [ratio] umana non
è misura delle cose, ma piuttosto è vero il contrario,
come è detto nel decimo libro della Metafisica (c.1).
Dunque dalla ragione umana non può derivare nessuna legge.
3. Inoltre, la
misura deve essere cortissima, come è detto nel decimo
libro della Metafisica. Ma il dettame della ragione
umana sulle azioni da compiere è incerto, secondo quel
passo del libro della Sapienza (9,14): «I
ragionamenti dei mortali sono timidi e incerti i nostri
proponimenti». Dunque dalla ragione umana non può
derivare nessuna legge.
Ma di contro sta
il fatto che Agostino, nel primo libro del De
Libero Arbitrio (cc. 6 e 12), pone due leggi, una
eterna l’altra temporale, che dice essere umana.
Rispondo dicendo
che, come sopra è stato detto, la legge è un certo
dettame della ragione pratica. Ora, un processo simile si
riscontra nella ragione pratica e nella ragione
speculativa: entrambe partendo da alcuni principi arrivano
a certe conclusioni, così come precedentemente è stato
detto. Secondo ciò, dunque, occorre dire che, come nella
ragione speculativa da principi indimostrabili, noti per
natura, si producono le conclusioni delle diverse scienze,
la cui conoscenza non è posta in noi per natura, bensì è
trovata grazie al lavoro della ragione, allo stesso modo
anche dai precetti della legge naturale, come da certi
principi comuni e indimostrabili, è necessario che la
ragione umana proceda fino a disporre in maniera più
particolareggiata. E queste disposizioni particolari
elaborate secondo la ragione umana, sono chiamate leggi
umane, se si mantengono altre condizioni che appartengono
all’essenza della legge [pertinent ad rationem legis],
come sopra è stato detto. Conseguentemente, anche Cicerone
dice, nella sua Retorica (2 De Invent. Rethor.,
c..53), che «l’inizio del diritto deriva dalla natura;
quindi certe cose entrano nella consuetudine per l’utilità
razionale; successivamente il timore e la santità delle
leggi sancì queste cose che sono sia derivate dalla natura
sia provate dalla consuetudine»
Risposta al primo argomento:
la ragione umana non può partecipare pienamente il dettame
della ragione divina, ma a suo modo e in maniera
imperfetta. E perciò, così come nell’ambito della ragione
speculativa, attraverso una naturale partecipazione della
sapienza divina, è in noi la conoscenza di certi principi
comuni, ma non la conoscenza piena di qualsiasi verità, al
modo in cui è contenuta nella divina sapienza, allo stesso
modo anche nell’ambito della ragione pratica naturalmente
l’uomo partecipa della legge eterna secondo certi principi
comuni, ma secondo disposizioni particolari delle cose
singole, che tuttavia sono contenute nella legge eterna. E
perciò è necessario poi che la ragione umana proceda verso
certi particolari precetti di legge.
Risposta al secondo
argomento:
la ragione umana di per sé non è regola delle cose, ma i
principi in essa naturalmente posti costituiscono certe
regole e misure generali di tutte le azioni che l’uomo
deve compiere e di cui la ragione naturale è regola e
misura, sebbene non sia misura degli enti naturali.
Risposta al terzo argomento:
la ragione pratica verte sulle cose che si possono fare,
che sono singolari e contingenti: non sulle cose
necessarie, al modo della ragione speculativa. E perciò le
leggi umane non possono avere quell’infallibilità che
hanno le conclusioni delle scienze dimostrative. E non è
necessario che ogni misura sia del tutto infallibile e
certa, ma che lo sia secondo il suo proprio genere. |