La legge eterna è a tutti
nota?
Circa il secondo punto procediamo così. Sembra che
la legge eterna non sia a tutti nota. Perché, come dice
l’Apostolo nella Prima Lettera ai Corinti (2, 11),
«le cose che sono di Dio, nessuno le sa se non lo Spirito
di Dio». Ma la legge eterna è una ragione esistente nella
mente di Dio. Dunque è ignota a tutti, tranne che a Dio.
2. Inoltre, come
dice Agostino nel primo libro del De Libero Arbitrio
(c.6): «La legge eterna è quella secondo la quale è giusto
che tutte le cose siano in massimo grado ordinate». Ma non
tutti conoscono in che modo le cose siano in massimo grado
ordinate. Dunque, non tutti conoscono la legge eterna.
3. Inoltre, Agostino
dice, nel De Vera Religione (c.31), che «la legge
eterna è quella della quale gli uomini non possono
giudicare». Ma, come viene detto nel primo libro dell’Etica
Nicomachea (c.3), «ciascuno giudica bene le cose che
conosce». Dunque, la legge eterna non è a tutti nota.
Ma di contro vi è
quello che dice Agostino nel primo libro del De Libero
Arbitrio (c.6): «La nozione della legge eterna è
impressa in noi».
Rispondo dicendo
che in due modi una cosa può essere conosciuta: in
un modo, in se stessa; in un altro modo, nel suo effetto,
nel quale si trova una certa somiglianza: ad esempio, chi
non vede il sole nella sua sostanza, può vederlo nella sua
irradiazione. Così, dunque, si deve dire che nessuno può
conoscere la legge eterna secondo ciò che è in se stessa,
se non soltanto i beati, che vedono Dio per essenza. Ma
ogni creatura razionale conosce la legge eterna, più o
meno, nella sua irradiazione. Infatti ogni conoscenza
della verità è una certa irradiazione e partecipazione
della legge eterna, che è verità immutabile, come dice
Agostino nel De Vera Religione (c. 31). Ora, tutti
conoscono in qualche modo la verità, almeno nei principi
comuni della legge naturale. Di questa conoscenza della
verità alcuni partecipano di più, altri partecipano di
meno, e per questo anche la legge eterna conoscono in
misura maggiore o minore.
Risposta al primo argomento:
quelle cose che sono di Dio, non possono essere conosciute
da noi in se stesse, ma tuttavia nei loro effetti a noi si
manifestano, secondo quanto è scritto nella Lettera ai
Romani (1, 20): «Le perfezioni invisibili di Dio,
attraverso le cose fatte, comprese, divengono visibili».
Risposta al secondo
argomento:
sebbene ciascuno conosca la legge eterna secondo la
propria capacità, nel modo in cui è stato detto prima,
tuttavia nessuno la può comprendere: infatti non può
manifestarsi totalmente attraverso i suoi effetti. E
perciò non è necessario che chiunque conosca la legge
eterna nel modo prima detto, conosca tutto l’ordine delle
cose, grazie al quale esse sono in massimo grado ordinate.
Risposta al terzo argomento:
giudicare di qualcosa può essere inteso in due maniere. In
un modo, come una facoltà conoscitiva discerne il proprio
oggetto, secondo quanto è scritto nel Libro di Giobbe
(12, 11): «Non discerne forse l’orecchio le parole, come
il palato di chi magia il sapore?». E in base a questo
tipo di giudizio, il Filosofo dice che «ciascuno giudica
bene le cose che conosce», cioè giudica se è vero ciò che
gli viene proposto. In altro modo, giudicare qualcosa può
esser inteso come il giudicare del superiore circa
l’inferiore mediante un giudizio pratico, cioè giudicare
se deve comportarsi così o no. E in questo modo nessuno
può giudicare la legge eterna. |