Può la consuetudine acquistare vigore di legge?
Circa il terzo punto
procediamo così: Sembra che la consuetudine
acquistare vigore di legge, né rimuovere la legge. La
legge umana infatti deriva dalla legge naturale e dalla
legge divina, come emerge dalla cose dette sopra (q. 93, a.3;
q. 95, a.2). Ma la consuetudine degli uomini non può
cambiare né la legge naturale, né la legge divina. Quindi
non può cambiare nemmeno la legge umana.
2. Inoltre, da molte
cose cattiva non può generarsi una cosa buona. Ma colui il
quale iniziò ad agire contro la legge, fece una cosa
cattiva. Dunque, moltiplicando simili atti, non si produce
nulla di buono. La legge invece è cosa buona, essendo la
regola degli atti umani. Dunque attraverso la
consuetudine, la legge non può essere rimossa, affinché
questa stessa consuetudine ottenga forza di legge.
3. Inoltre,
stabilire le leggi spetta alle persone pubbliche, alle
quali spetta governare la comunità; quindi le persone
private non possono fare leggi. Ma la consuetudine si
afferma attraverso gli atti di persone private. Quindi la
consuetudine non può ottenere la forza della legge,
attraverso la quale la legge viene rimossa.
Ma di contro vi è ciò che dice Agostino: «Il
costume del popolo di Dio e le istituzioni dei maggiorenti
sono da conservare come leggi. E come coloro che
trasgrediscono le leggi di Dio, così anche quelli che
violano le consuetudini sono da punire».
Rispondo dicendo che, ogni legge ha origine dalla
ragione e dalla volontà del legislatore: la legge divina e
quella naturale hanno origine dalla volontà razionale di
Dio; la legge umana ha invece origine dalla volontà
dell’uomo regolata dalla ragione. Ora, così come la
ragione e la volontà dell’uomo si manifestano nelle cose
da fare nelle parole, allo stesso modo nei fatti: ciascuno
infatti sembra scegliere come bene ciò che realizza nelle
azioni. D’altra parte, è chiaro che con la parola umana la
legge può essere sia mutata, sia anche esposta, nella
misura in cui manifesta i moti interiori e i concetti
della ragione umana. Di conseguenza anche attraverso gli
atti. Specialmente se moltiplicati, che costituiscono la
consuetudine, la legge può essere mutata ed esposta e può
anche essere prodotto qualcosa che ottiene vigore di
legge: nella misura in cui ad esempio attraverso atti
esteriori così moltiplicati viene dichiarato in modo molto
efficace il moto interiore della volontà e il concetto
della ragione; essendo infatti ripetuto più volte, esso
mostra di provenire da una deliberazione della ragione. E
in base a questo, la consuetudine ha pure forza di legge,
abolisce la legge, è interprete della legge.
Risposta al primo argomento: la legge naturale e la
legge divina sgorga dalla volontà divina, come è stato
detto. Di conseguenza, non può essere mutata da una
consuetudine che viene dalla volontà umana, ma soltanto
attraverso l’autorità di Dio. Ecco perché nessuna
consuetudine può ottenere forza di legge, contro la legge
divina o contro quella naturale; dice infatti Isidoro, nel
secondo libro delle Sinonimie (n.80): «L’uso ceda
all’autorità: sulle cattive usanze vincano la legge e la
ragione»
Risposta al secondo argomento: come è stato detto
sopra (q. 96, a.6), le leggi umani sono manchevoli in
alcuni casi; di conseguenza è possibile talora agire
contro la legge, ad esempio nel caso in cui la legge è
manchevole, e tuttavia l’atto non sarà cattivo. E quando
tali casi si moltiplicano, per qualche cambiamento degli
uomini, allora attraverso la consuetudine si manifesta che
la legge non è più utile: così anche lo manifesta la
promulgazione di una legge contraria. Se invece rimane
ancora il motivo per il quale era utile, non è la
consuetudine a vincere la legge, ma la legge vince la
consuetudine, a meno che la legge appaia inutile solo
perché non è «possibile secondo le consuetudini del
paese», cosa che era una delle condizione della legge (q.
95, a. 3). È infatti difficile rimuovere le consuetudini
di un popolo.
Risposta al terzo argomento: il popolo nella quale
si introduce una consuetudine può trovarsi in due
condizioni. Qualora infatti sia un popolo libero, che può
darsi delle leggi, il consenso di rutto il popolo
nell’osservanza di qualcosa che la consuetudine
manifesta, è di maggior peso dell’autorità del principe,
che non ha il potere di istituire le leggi, se non come
rappresentante della persona del popolo. Di conseguenza è
possibile che le singole persone non possano fare leggi e
che tuttavia l’intero popolo possa farlo. – Se invece il
popolo non ha il libero potere di darsi delle leggi, o di
mutare quelle stabilite da un’autorità superiore, tuttavia
anche presso questo popolo la consuetudine prevalente
ottiene forza di legge, nella mista in cui viene tollerata
da coloro che sembrano approvare ciò che la consuetudine
comporta. |