La legge antica contiene
dei precetti morali?
Circa il secondo punto procediamo così. Sembra che
la legge antica non contenga precetti morali. Infatti la
legge antica si distingue dalla legge naturale, come è
stato affermato sopra (q. 91, a.4; 1. 98, a. 5). Ma i
precetti morali appartengono alla legge di natura. Dunque,
essi non appartengono alla legge antica.
2. Inoltre, dove non
arriva la ragione umana, lì la legge divina deve venire in
aiuto, come emerge dalle cose che appartengono alla fede,
che sono al di sopra della ragione. Ma la ragione
dell’uomo sembra essere sufficiente per i precetti morali.
Dunque, i precetti morali non appartengono alla legge
antica che è legge divina.
3. Inoltre, la legge
antica è detta «lettera che uccide», come emerge dalla
Seconda Lettera ai Corinzi (3, 6). Ma i precetti
morali non uccidono, bensì fanno vivere, secondo le parole
del Salmo 118 (93): «In eterno non dimenticherò i
tuoi statuti, perchè in essi tu mi hai dato la vita».
Dunque, i precetti morali non appartengono alla legge
antica.
Ma di contro vi è ciò che viene detto nella
Siracide (17, 9): «Diede inoltre loro una disciplina e
fece loro ereditare una legge di vita». Ora la disciplina
appartiene ai costumi; a proposito del passo della
Lettera agli Ebrei (12, 11) in cui si dice «Ogni
disciplina, ecc. …», «la disciplina e l’educazione dei
costumi attraverso cose difficili». Dunque, la legge data
da Dio conteneva precetti morali.
Rispondo dicendo che, la legge antica conteneva dei
precetti morali, come emerge dall’Esodo (20, 13,
15) «non uccidere, non rubare». E questo a ragione.
Infatti, come l’intenzione principale della legge umana è
stabilire l’amicizia degli uomini tra loro, così
l’intenzione della legge divina è stabilire principalmente
l’amicizia dell’uomo verso Dio. Essendo però nell’essenza
dell’amore la somiglianza, secondo quanto si legge nella
Sapienza (13, 19) «Ogni animale ama il suo simile»,
è impossibile che ci sia amicizia dell’uomo verso Dio, che
è l’ottimo, a meno che gli uomini non diventano buoni. Di
conseguenza si dice nel Levitico (19, 2): «Siate
santi, perché io sono santo». Ma la bontà dell’uomo è la
virtù, che «rende buono chi la possiede» (2 Ethic.,
6). E perciò era necessario che fossero dati precetti
della legge antica anche circa gli atti di virtù. E questi
sono i precetti morali della legge.
Risposta al primo argomento: la legge antica si
distingue dalla legge naturale non in quanto da essa del
tutto aliena, ma in quanto aggiunge ad essa qualcosa. Come
infatti la grazia presuppone la natura, così è necessario
che la legge divina presupponga la legge naturale.
Risposta al secondo argomento: compito proprio
della legge divina era non solo aiutare l’uomo nelle cose
per le quali la ragione è insufficiente, ma anche nelle
cose circa le quali accade alla ragione di trovarsi in
difficoltà. Ora la ragione degli uomini non poteva
sbagliare in universale a proposito dei precetti morali in
quanto universalissimi precetti della legge di natura, ma
tuttavia per l’abitudine di peccare, veniva a oscurarsi
nel campo delle azioni particolari. Invece a proposito
degli altri precetti morali che sono come le conclusioni
dedotte dai principi comuni della legge di natura, la
ragione di molti si inganna così da considerare lecite
quelle cose che in se stesse sono malvagie. Di conseguenza
è necessario che la legge divina attraverso la sua
autorità venisse in aiuto dell’uomo contro entrambi questi
difetti. Così anche tra le cose cui credere sono a noi
proposte non solo quelle cose che la ragione non può
attingere, come il fatto che Dio è trino, ma anche quelle
cose alle quali la retta ragione può arrivare, come che
Dio è uno, per escludere l’errore della ragione umana che
accadeva in molti casi.
Risposta al terzo argomento: come mostra Agostino (De
Spiritu et Littera c. 14), anche la lettera della
legge rispetto ai precetti morali può essere occasione di
morte, nella misura in cui, cioè, comanda ciò che è buono,
senza fornire l’aiuto della grazia per realizzarlo. |