I precetti del decalogo
sono enumerati in modo opportuno?
Circa il quinto punto
procediamo così: sembra che i precetti del decalogo
non siano enumerati in modo opportuno (Es. 20; 8;
Deut. 5, 6 e ss.). Infatti, il peccato, come dice
Ambrogio (De Paradiso) è «trasgressione della legge
divina e disobbedienza ai comandamenti celesti». Ma i
peccati si distinguono in peccati contro Dio, peccati
contro il prossimo, peccati contro se stessi. Poiché
dunque nei precetti del decalogo non vi sono precetti
circa i doveri che l’uomo ha verso se stesso, ma solo
verso Dio e verso il prossimo, l’enumerazione dei precetti
del decalogo sembra insufficiente.
2. Inoltre, al culto
degli dei appartiene come l’osservanza del sabato, così
anche l’osservanza di altre solennità e l’immolazione dei
sacrifici. Ma tra i precetti del decalogo ce n’è uno
relativo all’osservanza del sabato. Dunque, dovevano
esserci anche quelli relativi ad altre solennità e al rito
dei sacrifici.
3. Inoltre, come
accade di peccare contro Dio spergiurando, così anche
essendo blasfemi o dicendo cose false contro la verità
divina. Ma vi è un precetto che proibisce lo spergiuro:
«Non nominare il nome di Dio invano». Dunque, i peccati di
blasfemia, di falsa dottrina, dovevano essere proibiti da
qualche altro precetto.
4. Inoltre, come
l’uomo nutre un naturale amore per i genitori, così anche
verso i figli. Il comandamento della carità si estende a
tutti coloro che sono prossimi. Ora, i precetti del
decalogo sono ordinati alla carità, in base a quello che
si dice nella Prima lettera ai Timoteo (1, 5):
«fine del precetto è la carità». Dunque, come c’è un
precetto relativo ai genitori, così anche dovevano esservi
precetti relativi ai figli e agli altri prossimi.
5. Inoltre, in
qualsiasi genere di colpa si può peccare con il pensiero e
con le opere. Ma certi generi di peccati, cioè il furto e
l’adulterio, vengono proibiti sia come opere - «Non
commettere adulterio»; «Non rubare» - sia come peccati del
pensiero - «Non desiderare la roba del tuo prossimo» e
«Non desiderare la moglie del tuo prossimo». Dunque, si
doveva fare lo stesso per il peccato di omicidio e di
falsa testimonianza.
6. Inoltre, come
accade che il peccato venga dal disordine del
concupiscibile, così anche può venire dal disordine
dell’irascibile. Ora ci sono dei precetti per proibire i
primi, che dicono «Non desiderare». Dunque, nel decalogo
dovevano essere posti anche altri precetti con i quali
proibire i peccati che vengono dal disordine
dell’irascibile. Sembra, pertanto, che i precetti del
decalogo non siano enumerati in modo opportuno.
Ma di contro vi è ciò che dice il Deuteronomio
(4, 13): «Egli vi fece noto il suo patto che vi
comandò di osservare e dieci parole che egli scrisse su
due tavole di pietra».
Rispondo dicendo che, come è stato detto sopra
(a. 2), mentre i precetti della legge umana ordinano
ad una comunità umana, i precetti della legge divina
ordinano l’uomo ad una certa comunità o società degli
uomini sotto il governo di Dio. Ora, perché qualcuno
si comporti bene in una data società, si richiedono
due cose: primo un contegno corretto verso colui che
governa tale comunità; secondo un comportamento corretto
verso gli altri uomini che fanno parte della medesima
società. È necessario, dunque, che nella legge divina
prima di tutto siano datai dei precetti che ordinano
l’uomo a Dio; in secondo luogo, altri precetti che ordinano
l’uomo verso il suo prossimo con il quale convive sotto
il governo di Dio.
Ora, verso chi governa la comunità, l’uomo ha tre doveri:
in primo luogo, la fedeltà; in secondo luogo, il rispetto;
in terzo luogo, il servizio. La fedeltà verso un padrone
consiste nel non dare ad altri l’onore della sovranità.
E pertanto il primo precetto dice «Non avrai dei stranieri».
Il rispetto verso un padrone richiede che non si commetta
niente di ingiurioso verso di lui. E pertanto il secondo
precetto dice «Non nominerai il nome di Dio invano».
Il servizio è dovuto al padrone come ricompensa dei
benefici che da lui ricevono i sudditi. E a questo fa
riferimento il terzo precetto sulla santificazione del
sabato in memoria della creazione delle cose.
Verso il prossimo, invece, l’uomo ha dei doveri specifici
e generali. Speciali verso quelli cui è debitore, cioè
di restituire loro il debito. E pertanto abbiamo il
precetto sull’onorare i genitori. – I doveri generali
sono quelli di non danneggiare nessuno, né con le opere,
né con i pensieri. Si può danneggiare il prossimo con
opere, nella persona sua propria, attentando cioè alla
sua incolumità personale. E questo è proibito dove si
dice: «Non uccidere». – E si può danneggiare nella persona
ad esso legata nella propagazione della prole. E questo
è proibito dove si dice: «Non commettere adulterio».
– Ancora, si può danneggiare anche nelle cose possedute
che sono ordinate ad un fine o ad un altro. E, riguardo
a questo, si dice: «Non rubare». – Inoltre, il danno
che si può infliggere con le parole, è proibito dove
si dice: «Non dire contro il tuo prossimo falsa testimonianza».
– Il danno che, invece, si può infliggere con il pensiero,
è proibito dove si dice: «Non desiderare». E in base
a questo schema si possono distinguere tre precetti
che ordinano a Dio. E di questi il primo riguarda le
opere, quindi si dice: «Non fare sculture». Il secondo
la parola, quindi si dice: «Non nominare il nome di
Dio invano». Il terzo riguarda il cuore, poiché nella
santificazione del sabato, in quanto si tratta di un
precetto morale, si comanda il riposo del cuore in Dio.
– Oppure, seguendo Agostino (In Psalm. 32, serm.
1) possiamo dire che con il primo precetto onoriamo
l’unità del principio primo, con il secondo la verità
divina, con il terzo la sua bontà, dalla quale siamo
santificati e in cui riposiamo come nel nostro fine.
Al primo argomento si può rispondere in due modi:
1) I precetti del decalogo si riconducono ai precetti
dell’amore. Ora, bisognava dare all’uomo i precetti
dell’amore verso Dio e verso il prossimo, o perché in
questo la legge naturale si era oscurata a causa del
peccato; mentre, riguardo all’amore verso se stessi,
vigeva ancora la legge naturale. – Oppure perché anche
l’amore verso se stessi è incluso nell’amore verso Dio
e verso il prossimo: l’uomo ama veramente se stesso
quando si ordina a Dio. E perciò anche nei precetti
del decalogo si trovano solo i precetti circa l’amore
verso Dio e verso il prossimo. 2) I precetti del decalogo
sono quelli che il popolo ricevette direttamente da
Dio; infatti si dice nel Deuteronomio (10, 4):
«Scrisse sulle tavole, come aveva scritto prima, le
dieci parole, che il Signore vi aveva detto». Di conseguenza,
è necessario che i precetti del decalogo siano tali
da esser colti subito dalla mente del popolo. Ora il
precetto ha natura di cosa dovuta [rationem debiti].
E che l’uomo abbia dei doveri verso Dio e verso il prossimo
viene colto facilmente dagli uomini, e in particolar
modo dai fedeli. Ma che vi siano per necessità dei doveri
verso se stessi e non verso un altro, questo non appare
chiaro così rapidamente. Infatti, sembra a prima vista
che ciascuno sia libero rispetto alle cose che lo riguardano.
E perciò i precetti con i quali sono proibiti i disordini
che si verificano nell’uomo, giungono al popolo attraverso
gli insegnamenti dei sapienti. Dunque, non appartengono
al decalogo.
Risposta al secondo argomento: le solennità della
legge antica furono istituite per commemorare un certo
beneficio divino, o passato da ricordare, o futuro da
prefigurare. E, in maniera simile, per questo erano
offerti tutti i sacrifici. Ora, tra tutti i benefici
divini da commemorare, il primo e più importante era
quello della creazione, che viene commemorato nella
santificazione del sabato. Di conseguenza, come
giustificazione di questo precetto, nell’Esodo (20,
11) si afferma: «In sei giorni il Signore fece il cielo e
la terra…». E tra tutti i benefici futuri, che poterono
essere prefigurati, quello più importante e finale è il
riposo della mente in Dio, o nel tempo presente con la
grazia, o nel futuro con la gloria; e queste cose sono
anche prefigurate nell’osservanza del sabato. Di
conseguenza, si legge nel libro di Isaia (58, 13): «Se
tratterrai il tuo piede il giorno di sabato, senza fare la
tua volontà nel giorno a me consacrato, e se chiamerai
sabato il giorno delle delizie, e il giorno santo e
glorioso del Signore…».Questi benefici infatti
primariamente e principalmente sono nella mente degli
uomini, soprattutto dei fedeli. Invece le altre solennità
venivano celebrate per alcuni benefici particolari che si
sono verificati in un dato tempo: tale era la celebrazione
della Pasqua per il passato beneficio della liberazione
dall’Egitto, e per la futura passione di Cristo, ormai
storicamente passata, che doveva portarci al riposo del
sabato spirituale. E perciò, trascurando tutte le altre
solennità e i sacrifici, tra i precetti del decalogo viene
ricordato soltanto il sabato.
Risposta al terzo argomento: come dice l’Apostolo
nella Lettera agli Ebrei (6, 17) «gli uomini
giurano per uno più grande di loro e il giuramento è fine
di ogni loro controversia». E perciò, poiché il giuramento
è comune a tutti, si proibisce ogni disordine in esso con
un precetto speciale del decalogo. Invece, il peccato di
falsa dottrina non riguarda se non pochi, quindi non era
necessario che di esso si facesse menzione nei precetti
del decalogo. Tuttavia, secondo una certa interpretazione,
quando si dice «Non nominare il nome di Dio invano» si
proibisce la falsa dottrina; la Glossa infatti
spiega: «Non dire che Cristo è una creatura».
Risposta al quarto argomento: in maniera immediata
la ragione naturale comanda all’uomo di non fare ingiuria
a nessuno; e perciò i precetti che proibiscono di nuocere
si estendono a tutti. Invece, la ragione naturale non
comanda in maniera immediata di fare qualche cosa per un
altro, se non a colui al quale si deve qualche cosa. Ora,
il debito dei figli verso il padre è talmente ovvio da non
potersi negare con nessun pretesto, poiché il padre è
principio della generazione e dell’essere, e inoltre
dell’educazione e della dottrina. E perciò non rientra nei
principi del decalogo si presti aiuto o si ossequi altro
che i genitori. I genitori, poi, non possono essere
debitori verso i figli per i benefici ricevuti, ma è
piuttosto vero il contrario. – Inoltre il figlio è
qualcosa del padre e «i padri amano i figli come qualcosa
di se stessi», come dice il Filosofo nell’ottavo libro
dell’Etica Nicomachea (c.12). Di conseguenza, per
queste ragioni, non sono stati posti dei precetti del
decalogo relativi all’amore verso i figli, come nemmeno
dei precetti che ordinano all’amore verso se stessi.
Risposta al quinto argomento: il piacere
dell’adulterio e l’utilità delle ricchezze sono cose
appetibili per se stesse, in quanto hanno natura di bene
piacevole o utile. E per questo era necessario rispetto ad
essi che venissero proibite non solo le opere, ma anche il
desiderio. Ma l’omicidio e la falsità sono in se stessi
orribili, perché il prossimo e la verità sono per natura
oggetti d’amore; l’omicidio e la falsità non si desiderano
se non per qualche altro motivo. E perciò non era
necessario che, a proposito del peccato di omicidio e di
falsa testimonianza, si proibisse il peccato del cuore, ma
bastava la proibizione delle opere.
Risposta al sesto argomento: come è stato detto
sopra (q. 25, a. 1), tutte le passioni dell’irascibile
derivano dal concupiscibile. E perciò nei precetti del
decalogo, che sono come i primi elementi della legge, non
si faceva menzione della passioni dell’irascibile, ma
solo delle passioni del concupiscibile. |